24 ottobre 2015

La morte della libertà. Anche di manifestare

 
Le centinaia di condanne ai manifestanti di Gezi Park segnano una nuova caduta verso il baratro della Turchia, sempre più stato di polizia. Con gli occhi verso occidente, senza riuscire a compiere un passo

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La strage di Ankara, per cui sono stati accusati due “islamisti”, è stata soltanto l’ultimo torrente di sangue che ha invaso la Turchia. Nazione borderline, antica e contemporanea, sguardo all’Europa ma senza passi avanti, ora il Paese dovrà vedersela con un nuovo neo, fatto di condanne “politiche”.
Arriva da Istanbul infatti la notizia della condanna di 244 su 255 manifestanti imputati nel principale processo per gli scontri legati alle proteste di Gezi Park, che risalgono a maggio 2013.
Pene che hanno una forbice che comprende due mesi e arriva fino a un anno e tre mesi, circa, per medici che stavano soccorrendo i manifestanti [otto furono i morti], accusati di aver danneggiato una moschea usandola come infermeria, mentre un altro caso saltato all’occhio dei media è che due imputati dovranno scontare due anni e due mesi per aver indossato il “camice” dei medici pur non essendoli, anche se in questo caso il tribunale ha sospeso le sentenze, forse resosi conto dell’assurdità del procedimento.
Tenendo presente il marasma di quei giorni, incredibile ma vero, si sono formalizzate accuse che portano i nomi di “danneggiamento di proprietà pubblica”, “interruzione di pubblico servizio”, “manifestazione non autorizzate”. Un’altra dimostrazione di forza, a pochi giorni dalle elezioni anticipate, che non potrà far trattenere la rabbia ancora a lungo. Condannando ancora una volta il Paese affacciato sul Bosforo a focolaio di “rivoluzionari” contro una dittatura mistificata. (MB)

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