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10
ottobre 2015
Il Nobel per la pace si è fatto in quattro e ha premiato il “Quartetto per il dialogo”, ovvero la Lega per i diritti umani, l’ordine degli avvocati, il sindacato generale tunisino e la confederazione industriale e del commercio.
Sono categorie di lavoratori, o di “tutori” delle condizioni di lavoro e civiltà: un Nobel per la pace giusto, e non solo giustificato. Politico, certo, come un Nobel per la pace non può essere altrimenti, ma che sembra guardare in faccia alla realtà e alla difficoltà di un Paese che, attraversata la difficile condizione della Primavera Araba (che poi, scavando, in fretta ha lasciato il posto a un nuovo autunno) e poi al terrorismo islamico, si discosta un po’ dalle “solite nomine”.
Il quartetto, creatosi nel 2013, riunisce una serie di gruppi che hanno svolto il ruolo di “mediatori nel portare avanti il processo di sviluppo democratico tunisino”, scrive nel manifesto il professore di Scienze politiche Hamadi Redissi. Un premio che doveva già essere assegnato lo scorso anno, ma che non cambia la sostanza. Nel 2014 era invece stata premiata un’altra personalità decisamente scomoda, sulle basi di una causa importante: l’indiano Kailash Satyarthi, impegnato nella lotta contro il lavoro minorile.
Un tributo importante, insomma, mostrando che la “pace” passa anche per un impegno legato alla sfera quotidiana, vicino alla realtà di ognuno di noi. (MB)