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Sono anni che barconi dalla Libia, dall’Egitto, dalla Tunisia, affondano. Sono anni che Lampedusa, a tempi alterni, si trasforma in un cimitero d’acqua. L’impressione, forse un po’ populistica, è che all’Europa dei migranti che sbarcano in Italia, non sia mai importato più di tanto.
Poi ci sono coloro che negano l’evidenza, ovvero che i clandestini fuggono da guerre, da persecuzioni, che sono disposti ad abbandonare bambini e adolescenti sui barconi, pur di dargli una speranza di vita migliore. Sono quei politici che affermano che l’Italia è sempre stata “troppo buona” nei confronti degli immigrati. Uomini dello stato che, davvero, sembrano aver mal compreso che l’Italia da nessuna di queste povere anime è vista come un “porto franco”, ma solo come approdo per andare chissà dove, e iniziare a ricostruire un’esistenza in chissà che modo. Forse non importa nemmeno a loro: dormire su una strada italiana qualsiasi sarà senz’altro meglio che sottostare alle leggi dello stato islamico, o delle dittature. Il discorso, però, oggi è un altro: con la tragedia dei 50 corpi trovati asfissiati in un camion nella “civilissima” Austria, anche l’Europa sembra essersi accorta di quello che succede, della realtà dei fatti: qualcuno, al di là del mare, sta male. Disposto a rischiare la pelle, a passare tra il filo spinato, a farsi uccidere quasi pur di tentare la sorte. La cancelliera Merkel ha ribadito che questa tragedia deve essere di monito al continente intero, come se il barcone affondato in Libia – in cui sono morti altri 200 migranti – non servisse invece a farci riflettere intorno alla portata di questo esodo che, nonostante tutto, sembra passare in sordina, come qualcosa di endemico, di inevitabile, di “normale”. Ora il capo di stato tedesca parla di un accordo tra Italia e Grecia sui “centri di registrazione” da allestire entro la fine dell’anno, come se un censimento delle unità servisse ad arginare l’emorragia, e ha anche parlato della possibilità che ogni Paese d’Europa si prenda i suoi clandestini/migranti/profughi o come si vogliono chiamare.
In teoria sarebbe quasi definibile “democratica” questa soluzione, ma quel che è certo è che i panni sporchi sembrano doversi lavare dove arrivano. Stavolta, bene o male, sono arrivati al di là delle Alpi, nell’Europa pulita che di fare il bucato non ha mai avuto particolarmente voglia. Vedremo. (MB)