Ieri, a Bologna, oltre al lutto per la scomparsa di Concetto Pozzati, c’è stata anche un’altra ferita che si è riaperta, come ogni anno, il 2 agosto. Correva il 1980, 37 anni fa, e alle 10.25 un ordigno squarciò la sala d’aspetto di seconda classe al binario 1, lato ovest della stazione: 85 morti e 200 feriti, ancora senza un colpevole.
Oddio, per la verità di colpevoli se ne trovarono 2, Valerio Fioravanti e Francesca Mambro, esponenti del terrorismo nero, dei cosidetti NAR – Nuclei Armati Rivoluzionari, che in quattro anni di attività commisero 33 omicidi, tra cui quello ai danni di Mario Amato, sostituto procuratore della Repubblica di Roma, oltre alla strage di Bologna.
E nella città emiliana pare che si attendesse una protesta plateale, arrivata puntuale: i famigliari delle vittime della strage hanno lasciato l’aula del Comune dove ogni anno si tiene la cerimonia con le autorità proprio nel momento in cui il ministro Gian Luca Galletti, in rappresentanza del Governo (che poi non ha partecipato al corteo), stava per pronunciare il suo discorso.
Forse è anche per questo che dal MIBACT è arrivato puntuale un comunicato che dichiara il “costante lavoro” dello stato per far luce sulla vicenda e, invece, in cattiva luce cerca di mettere Paolo Bolognesi, Presidente dell’Associazione dei famigliari delle vittime. La colpa? Bolognesi sosterrebbe che la realizzazione di un archivio digitale delle vicende giudiziarie di maggiore interesse storico, tra cui la strage di Bologna, potrebbe intralciare eventuali sviluppi sulla ricostruzione della verità storica e processuale del più grave atto terroristico avvenuto in Italia nel secondo dopoguerra. L’archivio, stando a quel che riporta Franceschini, avrebbe una pura finalità storica.
Ma forse, c’è da dire, che dopo 37 anni in cui si attende giustizia, forse anche solamente spostare una parola significa – per i famigliari, ma anche per chi ha buon senso – rischiare di scrivere un altro finale rispetto a quello che per tanto tempo si è invocato, ovvero quella della verità dei fatti.
“Il Governo è stato scorretto con noi. Abbiamo ritenuto che la direttiva di Renzi fosse importante per arrivare alla verità, in modo che le carte venissero desecretate e che tutti potessero leggerle. Ma i nomi non ce li danno. I ministri Orlando e Franceschini, nel 2015, hanno fatto una convenzione con gli archivi per digitalizzare tutte le carte dei processi. Non hanno digitalizzato un foglio. E allora ci siamo arrabbiati, una sana arrabbiatura in difesa della democrazia” è stato il messaggio di Bolognesi.
Si sa, il tempo passa, la memoria non è sempre forte, le voci si sovrappongono e tra mille teorie (in ultima quella di Giovanni Lindo Ferretti, leader dei CCCP e poi dei CSI, che ha dichiarato di non credere ai NAR ma ad una inesplorata pista palestinese poco battuta dalle indagini), riscrivere la storia non è così complicato.
Se poi, come Ferretti afferma, “Bologna ha voluto e bevuto la storia del terrorismo nero per continuare il suo “mandato” di città antifascista” è una storia che non ci appartiene e che forse non appartiene nemmeno a chi ha perso qualcuno sotto le macerie di quella mattina. L’unica che si vorrebbe, neri o palestinesi, è la verità, in barba ad antifascismi e complotti.
E invece, anche ieri, l’unico finale da parte delle autorità è stato il “ricordiamo, non litighiamo” e “La verità è importante”. Amen. (MB)
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chi mai ama la verità? ognuno pretenderebbe la propria, quella che più lo soddisfa ma se gli si presenta qualcosa di diverso grida alla menzogna e al complotto. Al governo dall'82 abbiamo avuto sinistra e destra e nessuno ha sentito la necessità della verità. forse era scomoda comunque la si vedesse invece la "strage fascista" proclamata già dal mattino successivo a gran voce in fondo è almeno politicamente corretta