Ha fatto il giro del mondo la notizia dell’atto vandalico su Dirty Corner, o la “Queen’s Vagina” che Anish Kapoor ha installato nei giardini di Versailles. E, probabilmente, l’argomento farà ancora discutere, visto che la Francia da illuminista, come abbiamo raccontato, si è svegliata parecchio bigotta, violenta, in quelle frange di una nuova destra che mette a ferro e fuoco quell’arte contemporanea che lo stato d’oltralpe ha sempre sostenuto con il plauso dei confinanti e degli stessi francesi.
Amareggiato, l’artista anglo-indiano prende carta e penna e mette nero su bianco sul giornale gli insulti ricevuti dalla stampa “conservatrice” e si chiede come poter rispondere al gesto della vernice che ha imbrattato le pareti dell’opera, immediatamente ripulite. “L’atto dello sbattere vernice contro dirty corner è uno sporco atto politico che riflette la sporca politica di esclusione, emarginazione, elitarismo, razzismo, islamofobia?”, si chiede Kapoor. Quale potrebbe essere la miglior vendetta? “Sono consapevole del potere
dell’arte e della sua capacità di offendere. E anche del fatto che Dirty Corner si pone in maniera dirompente con la rigidità geometrica del palazzo”, continua.
Ma c’è un però, ovvero che “La violenza politica non è la stessa violenza dell’arte. Questo vandalismo politico utilizza un “materiale d’arte” – la pittura – per fare violenza reale. Ma la violenza artistica è generativa, la violenza politica distruttiva. La violenza artistica può ribaltare quello che c’era prima, mentre la violenza politica cerca la cancellazione. Il suo obiettivo è la rimozione dell’idea, offendere una persona, una pratica o una cosa. Le opinioni politiche semplicistiche sono offese dal disordine dell’arte. Che è sempre vista come oscena e distruttiva”. Insomma, niente accuse incassate, anche se la vernice è stata rimossa. Kapoor è arrivato un po’ tardi nella decisione e chissà se vi saranno altre occasioni per mettere in pratica la sua vendetta. Quel che è certo è che il Paese non accenna a diminuire l’ondata di insofferenza non tanto verso il sesso o la sua metaforizzazione, quanto per la diversità di uno “stile”, se così possiamo definirlo. Quali saranno i prossimi passi per assestare una nuova “politica dell’odio”? (MB)