Categorie: Il fatto

L’arte è un evento?

di - 20 Giugno 2016
Nel primo giorno di percorribilità della passerella di Christo sono arrivate le lodi, le critiche, le informazioni mediatiche. Forse per la prima volta nella storia i telegiornali a reti unificate, nessuna esclusa, nelle edizioni delle 13 e delle 20 hanno raccontato di The Floating Piers. Superficialmente, ovvio, come si conviene a ogni notiziario, ma aumentando la crescente spettacolarizzazione.
Poi arriva Philippe Daverio, che non ha bisogno di presentazioni né riguardo al suo curriculum né alla sua politica, in tutti i sensi, e ci dice: «La passerella di Christo non è arte. L’arte è qualcosa di diverso, è altra cosa. Qui manca l’ambiguità e la complessità dell’arte vera, oltre alla ripetibilità. Uno ascolta duecento volte la Fuga di Bach o ammira per centinaia di volte il David di Michelangelo e ogni volta percepisce una nuova sensazione. Se uno invece salisse per duecento volte sulla passerella di Christo entrerebbe nella categoria dei cretini». La riflessione è sulle pagine dell’Eco di Bergamo, in una intervista di Davide Agazzi, che resterà sepolta dietro il clamore dell’ultimo utopico, e clamoroso, intervento dell’artista di origine bulgara in Italia.
E così, a causa delle parole di Daverio, che continua spiegando che la passerella altro non è che la “sostituzione” di una vecchia sagra di paese, ci viene un dubbio: davvero un’opera d’arte non può essere spettacolare? Questione vecchia di secoli. La Cappella Sistina, non era (ed è, eccome se lo è) spettacolare? Davvero, in questo caso, un intervento che ha a che fare con la Land Art – come possono essere anche Lightning Field di De Maria, o Spiral Jetty di Smithson – non sono arte? O forse questi due casi lo diventano proprio perché permanenti nel tessuto ambientale, così come la Cappella del Vaticano ha pretesa di eternità, mentre The Floating Piers se ne andrà in un lampo?
Di dissertazioni sulla natura dell’evento, sulla sua funzione e durata, ne abbiamo avute a iosa, da Virilio a Baudrillard, passando per Eco e risalendo al Lyotard, comunicatore di quel “postmoderno” come condizione di fine delle grandi narrazioni (e dunque anche dell’eternità biblica, diciamo), ma sminuire Christo e un’operazione che – non soltanto ha interessato un ciclopico gruppo di lavoratori e ha avuto costi colossali di produzione, questioni queste che interessano più ai detrattori che agli entusiasti – è stata studiata e “sondata” in un arco di quarant’anni come “fiera di paese”, ci sembra davvero un po’ troppo. Specialmente da parte di un critico che con il “mainstream” televisivo e la critica giocosa ci ha costruito una fama che altrimenti sarebbe passata decisamente inosservata tra le grandi masse affezionate al piccolo schermo.
Se poi parliamo di “ripetibilità” casca l’asino, ancora una volta: certo, dopo questa esperienza forse tutti saranno in grado, con i giusti brevetti e i giusti luoghi, di ricostruire un Floating Piers. Vedremo in quanti ci proveranno, e ci riusciranno.
Che sia il caso di rimettere ogni cosa al suo posto? Daverio osserva anche che tutta l’operazione permetterà di incrementare la vendita di bibite e panini, e nulla lascerà al territorio una volta terminata. Può essere, ma probabilmente resterà nella storia, compresa quella personale di molti visitatori, contrariamente alle esperienze raccolte in molti altri “eventi” anche recenti, uno fra tutti l’Expo di Milano. E la differenza tra cosa è arte e cosa no, stavolta ci sembra molto chiara. E che “evento” sia, o forse “epifania”. (MB)

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  • Insomma, l'arte è anche evento, semmai si può dire senza problemi che Christo sia un artista mainstream che da decenni fa le stesse cose, e quindi per questo lo si può criticare. L'opera di Christo in sé non è che dica molto ormai, ma l'arte E' un evento, ed E' partecipativa. E' un discorso che si fa dagli anni '70, l'arte non deve per forza essere ambigua o disturbante, può anche favorire un'esperienza nuova e alterare un panorama consueto, favorendo un nuovo vissuto.

  • IN realtà anch'io mi sono "spontaneamente" posta il quesito. E non è la prima volta rispetto a molte spettacolarizzazioni dell'arte. Manca certamente di quell'elemento imponderabile che rinnova ogni volta l'incontro emozionante con l'opera.Ma fa parte di un linguaggio della creatività che comunque coinvolge moltissime persone.In realtà si sta sperimentando da lungo tempo, ormai, una specie di ingordigia di sensazioni date dalle innumerevoli possibilità tecniche a disposizione degli artisti...Ne vedremo forse la catarsi in futuro.

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