Create an account
Welcome! Register for an account
La password verrà inviata via email.
Recupero della password
Recupera la tua password
La password verrà inviata via email.
-
- container colonna1
- Categorie
- #iorestoacasa
- Agenda
- Archeologia
- Architettura
- Arte antica
- Arte contemporanea
- Arte moderna
- Arti performative
- Attualità
- Bandi e concorsi
- Beni culturali
- Cinema
- Contest
- Danza
- Design
- Diritto
- Eventi
- Fiere e manifestazioni
- Film e serie tv
- Formazione
- Fotografia
- Libri ed editoria
- Mercato
- MIC Ministero della Cultura
- Moda
- Musei
- Musica
- Opening
- Personaggi
- Politica e opinioni
- Street Art
- Teatro
- Viaggi
- Categorie
- container colonna2
- container colonna1
C’è una vecchia canzone rock degli Afterhours, si chiama “Non si esce vivi dagli anni ’80”. Manuel Agnelli, il leader carismatico della band, invece ci è uscito. E oggi fa il giudice in qualche talent show per aspiranti cantanti, facendo infuriare lo zoccolo duro dei fan che invece sono rimasti infuriati e ribelli.
Due caratteristiche che, ci sembra, però, non appartengano a questa generazione. Alla generazione dei trentenni intendiamo. Lo si è scritto anche nell’ultimo editoriale di Exibart.onpaper 96: i giovani artisti guardano con immenso fascino agli anni ’70. Un decennio duro che chi non ha vissuto non può ricordare, ma di cui può subire immensa fascinazione. Allora, forse, c’erano ideali. Forse c’era quella voglia di condivisione che faceva sentire “uguali”. Michele, 30 anni di Udine, invece si sentiva diverso in tutto, e preso per il culo da una società che i giovani li rifiuta o quando va bene li sfrutta. Michele ha scelto una scelta senza futuro: quella di togliersi di mezzo, togliendosi la vita, appunto. Un gesto un po’ egoista, forse, rispetto a tutti i suoi compagni che invece stringono i denti e lottano, ma che può interessare a un suicida dell’egoismo, della carità o del dolore di chi resta?
Vorremmo lanciare un messaggio di speranza da queste pagine che si occupano di temi “belli”, parentesi e oasi felice in un mondo reputato brutto, che abbiamo la fortuna di vedere (anche) mediato dallo specchio dell’arte: è difficile.
Una cosa però viene da sottolineare: Michele, dal fondo della sua lettera, se la prende con il Ministro del Lavoro, Giuliano Poletti, incarnazione del problema.
Caro Michele, anche noi vorremmo accodarci a chi ha “risposto” alla tua missiva, e cercare di spiegarti che di Poletti – nella vita – se ne incontreranno sempre. Una volta avrà le fattezze di un datore di lavoro, un’altra volta di un’ex fidanzata, a volte di un idolo che pensavamo “forte” e che invece si vende al mainstream, a volte di un collega raccomandato. Come fare per combattere lo spettro di una società che non ci accetta? Forse con una resilienza (e resistenza) sottile. Forse con la volontà di guardare lucidamente al fatto che nulla è più come ci hanno insegnato, e che non ci sono – per ora – margini per elaborare questo lutto.
Dovremmo forse invece impararci a conviverci, senza abbatterci. Dobbiamo inventarceli, questi margini. Senza scegliere il “No Future” degli anni ’70, appunto, e senza ripensare ai cartoni animati che vedevamo negli anni ’80. Anche perché la nostalgia non dovrebbe far parte della gioventù, tutt’al più una rabbia costruttiva e la voglia di buttare giù pareti, anche a testate. Cercheremo di capire il tuo dolore, Michele, senza condividerlo. (MB, un trentenne)