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Gli under 35 scappano all’estero, ma dall’estero – e più precisamente dal Regno Unito – qualcosa forse davvero potrebbe cambiare con l’uscita dalla comunità del Paese. C’è sempre di mezzo il mercato, ma è macchiato dell’ideologia dello “UK Independence Party”, quell’UKIP che la primo ministro Theresa May sembra voler sposare. Il partito, fondato nel 1993 da un gruppo di scissionisti del Partito Conservatore, ha avuto proprio come obiettivo il ritiro del Regno Unito dall’Unione Europea.
La Merkel, dal canto suo, per il secondo giorno di fila ha tuonato: «Se non diciamo chiaramente che il mercato interno è connesso all’accettazione completa dei quattro principi basilari (merci, capitali, persone, servizi) allora il rischio è che si assista in Europa a un processo nel quale a ciascuno Stato sarà consentito di fare quello che preferisce».
Ed ecco che così si realizzerebbe la profezia della “fuga” di altri Paesi, che a farsi schiacciare dal mercato globale, dai debiti e dalle richieste di alte performance non ne possono più.
La goccia che in queste ore ha fatto traboccare il vaso è stata la proposta del ministro dell’Interno Amber Rudd che avrebbe voluto chiedere alle imprese britanniche di stilare le liste dei propri lavoratori stranieri. Una bella “schedatura”, che di certo non significa fuori tutti, ma che di certo non aiuta il clima in cui la democratica Brexit ha gettato nella politica del continente. Intanto la May ha dichiarato che da marzo 2017 si attiveranno le procedure per uscire, per non sovvertire la scelta dei cittadini. E poi, entro il 2019, dovranno essere negoziate le condizioni con le istituzioni europee. Londra, insomma, di cui tanto parliamo in questi giorni e che un po’ di invidia ci fa per il suo eccellente sistema dell’arte, potrebbe iniziare a decretare anche una nuova Europa come un insieme di stati vincolati solo da liberi scambi commerciali. Possibile? (MB)