Le pagine facebook dei vostri contatti sono talmente piene di “eventi” che state pensando all’eliminazione coatta di “amici”? Non tollerate più di cedere il passo, nei musei, a chi si pianta davanti a una qualsiasi opera, e dopo averla fotografata, immediatamente scappa senza nemmeno rivolgergli un insufficiente sguardo ad occhio nudo?
Bene! Forse è arrivato il momento che stavate aspettando!
Apple ha infatti ottenuto l’approvazione per un brevetto sottoposto all’attenzione dell’apposita commissione nel 2009: di che si tratta? Di una speciale tecnologia applicabile alle fotocamere digitali e basata sui raggi infrarossi, che potrebbe impedire al telefono di scattare foto o effettuare riprese in luoghi dove si può violare il copyright o la privacy delle persone, aeroporti compresi.
Significherà, in sostanza, rimappare di nuovo il pianeta secondo nuovi canoni, e ancora una volta – tramite il nostro caro smartphone – essere sempre più riconducibili, quasi al millesimo, nel luogo in cui ci troviamo, scoprendo chi stiamo ascoltando, cosa stiamo vedendo e magari tentando di immortalare.
Il motivo principale? Sembrerebbe quello di frenare il fenomeno dei video musicali messi online praticamente in diretta sui social, grazie allo streaming di Facebook Live e Periscope.
Oltre a questo, che sinceramente lede gli aventi diritto ma decisamente meno chi non può essere ad un concerto, non sarebbe poi una così brutta idea tornare a godere dal vivo di performance e tecniche pittoriche, paesaggi incantati su tela e affini. E da questa parte ci sono alcune dive della musica, da Adele a Gianna Nannini fino a Prince, che chiedeva la rimozione dei video non ufficiali da Youtube.
Sarebbe in effetti una bella lezione di civilità nei confronti di chi intralcia il concerto altrui con il proprio schermo, e di chi non si rende conto che un museo non è una gara a chi “spara” foto alle opere più velocemente, ma qualcosa che richiederebbe un po’ di tempo e “ascolto”. E se fosse davvero così, di nuovo, Apple sarebbe in grado di scrivere una nuova fetta di storia della comunicazione, ai tempi della “sharing culture”. (MB)