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Bob Dylan non è Barthes. Forse neanche Dario Fo era Caravaggio. Pazienza: nel giorno dell’addio a uno, e alla premiazione del nuovo Nobel per la Letteratura, lo stesso vinto da Fo nel 1997, gli onori e le glorie sono più o meno gli stessi, ma stavolta ci sono anche coloro che non si schierano a favore né di un personaggio, né dell’altro.
Il figlio del grande attore, drammaturgo, e istrionico artista, Jacopo ieri si è tolto parecchi sassolini della scarpa. Raccontando, per esempio, delle minacce rivolte a lui quando nel 1962, a Canzonissima, Fo e Franca Rame vennero censurati perché parlarono di mafia in televisione.
Oggi, invece, sono di nuovo – come durante Charlie Hebdo – tutti amici e riconoscenti a Fo. Tutti tranne Matteo Renzi, che nell’esprimere cordoglio ha ricordato le grandi distanze politiche, e Renato Brunetta, ancora scottato dalle critiche “razziste” al suo aspetto fisico, che aveva ricevuto dal grande attore. Forse, in effetti, anche a Fo sarebbero piaciuti i commenti vivi e veraci dei suoi “nemici”, come oggi ne avrà scoperti tanti (forse più che nemici “scettici”, che è poi sempre una categoria di pensiero) anche Bob Dylan. Per alcuni un genio, per altri poco più che un cantautore. Entrambi premi Nobel per due letterature diverse, forse popolari, e forse proprio per questo impopolari. Al di sopra di ogni morte, e ogni premiazione. (MB)