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Non è certo un caso che il Papa abbia scelto un Paese come l’Egitto per il suo viaggio “di fratellanza e unità”, come l’ha definito. Un viaggio che arriva a distanza di 17 anni dall’ultima volta che un Pontefice mise piede nel Paese de Il Cairo, e non a caso fu un altro grande comunicatore: Giovanni Paolo II.
Ancora una volta, però, il Padre di uno dei credi più violenti della storia dell’umanità va a predicare la non-violenza di fronte agli altri colleghi che, incarnati dal Grande Imam di Al-Azhar, Ahmad al-Tayyib, si mettono tutti insieme a fare una conferenza sulla pace. Un poco paradossale: Al-Tayyib spiega che dell’Islam non si può fare di tutta l’erba un fascio, e che non rappresenta la religione di un gruppo di folli che ha male interpretato i testi sacri. E poi scusa il Cristianesimo, per le “crociate”; e poi scusa Israele per “l’occupazione dei territori” palestinesi, e poi scusa gli USA, nonostante le bombe. Insomma, tutti assolti da se stessi.
Ci fa molto piacere, specialmente perché chi ogni giorno lavora sulle differenze, e sull’incontro tra popoli, sul valore dell’uguaglianza e con le difficoltà reali e non di quelle degli “ambasciatori” che non portano pena, forse faranno a meno delle ennesime parole che mirano a far distinguere “la vera fede” e la violenza, tra la parola di Dio e la morte.
Forse, Bergoglio, più che ai normali cittadini di Egitto, Italia, Francia o USA, dovrebbe parlare per i propri “Ministeri” e per i politici. Al-Sisi, sotto il cui mandato l’Egitto ha ripreso la morsa dello stato di polizia, per usare un eufemismo, ha perseguito nel discorso che l’Islam persegue “pace e tolleranza”. E i governi, con le loro grandi alleanze che dovrebbero, stando sempre a quel che dice il Papa, prevedere Dio “all’orizzonte”? Aspettiamo speranzosi. (MB)