13 gennaio 2016

Perché l’Islam

 
Commentare l'attacco di Istanbul, per certi versi, ha poco senso. Oltre alle parole di condanna e cordoglio, c'è poco da dire su modalità che ormai conosciamo bene. Resta da capire, invece, un fenomeno

di

Perché l’Islam? O Perché l’Islam. Una domanda e una risposta che, in una nuova giornata bollente di tensione, che ha riportato la Turchia sulla strada della paura, con il kamikaze a pochi passi dalla Moschea Blu, torna forte a farsi sentire. 
Perché ci si converte a una religione che, nelle sue frange più estreme – come tutti i credi monoteisti – diventa sinonimo di violenza e di odio? Ha provato a rispondere La Stampa, con un gruppo di resoconti di italiani che, in tempi recenti o non sospetti, hanno abbracciato la dottrina.
Che cosa si evince? Senza ombra di dubbio che sia una modalità per fuggire dalla crisi di valori dell’Occidente. Nelle storie dei diversi interpellati, raccolti da Karima Moual da Bergamo, una delle città italiane con il più alto tasso di mussulmani, si scopre che molti protagonisti, prima di abbracciare la dottrina della Sharia (la legge divina), erano ferventi cattolici. Ma la religione ufficiale d’Italia non bastava più: troppo blanda, troppo in crisi, troppo incline forse a perdonare peccati e, soprattutto, a commetterne. 
E allora le donne sono pronte ad abbracciare il tradizionale Niqab, l’abito che lascia scoperti solo gli occhi, per intenderci, e ad avere come guida le parole dell’Ayatollah Khomeini. «Nella fase attuale ci troviamo nel kali yuga induista, ovvero l’epoca oscura, dove predominano le masse informi, le quali senza guida divina sono in uno stato di abbrutimento totale. L’Europa oggi vive in uno stato di materialismo diffuso o di pseudo religiosità laica. Un umanità decaduta distaccandosi da Dio», riporta un intervistato. Ecco allora, dunque, che serve una guida forte, un credo che possa riportare sulla retta via, esattamente quella predicata da Khomeyni, che nel 1979 in Iran promosse le leggi tradizionali e morali del suo Islam: l’abolizione del divorzio, la proibizione dell’aborto e l’abbassamento dell’età minima per il matrimonio a 9 anni per le donne, la pena di morte per l’adulterio e per la bestemmia. 
Ed ecco che così prendono piede i princìpi Salafiti, quelli originali dettati dal profeta, che indicano la volontà di affrancare il mondo islamico dalla sua sudditanza, psicologica e politica, nei confronti dell’Occidente non-musulmano. E che oggi sappiamo dove stanno portando. 
Che cosa si nasconde, insomma, nella “presa alla lettera” di una determinata posizione? Quale disagio, quale scoramento, e quale perdita di valori permettono di abbracciare un nuovo credo che – in questi termini – rifugge secoli e secoli di lotte per l’emancipazione, per il libero arbitrio, per “farla finita con il giudizio di Dio”, per dirla con Jean Genet, che ha provocato e provoca tutt’ora odio, intolleranza e ineguaglianza? 
Questo il più grande spazio di riflessione, che dovrebbe mettere in atto l’Occidente. Forse per salvaguardare anche quei cittadini “stanchi”, pecorelle smarrite – non solo islamiste – pronte ad abbracciare credi e affini pur di sentire un ipotetico conforto. (MB)

LASCIA UN COMMENTO

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui