15 gennaio 2015

Putin, che pena

 
Il leader sovietico dimostra, se ancora ve ne fosse bisogno, che diventare “civile” non fa parte dal suo programma politico, e neanche di vita. L’occasione stavolta sarebbe il 70esimo anniversario di liberazione dal Nazismo. Mentre dalla sua Russia chi può si libera fuggendo

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Non è nell’agenda del presidente. Tutto qui, e senza spiegazioni. Così il portavoce di Mister Vladimir Putin ha annunciato alla stampa che il leader non sarà in Polonia per il 70esimo anniversario della liberazione del campo di concentramento di Auschwitz-Birkenau.
Pare, a onor del vero, che dal museo (quello che è oggi Auschwitz) non siano stati inviati inviti speciali per il prossimo 27 gennaio, Giorno della Memoria e della manifestazione, ma è altresì vero che l’istituzione ha fatto notificare l’evento ai capi di stato di 43 Paesi, Russia compresa.  La cerimonia sarà guidata dal presidente polacco Bronislaw Komorowski e tra gli ospiti confermati vi sono già il Presidente francese Francois Hollande e il tedesco Joachim Gauck, mentre ancora non si hanno notizie di Obama e di Kim Jong Un, a capo della Corea del Nord. 
Qualcosa fa presagire che l’assenza di Putin sarà particolarmente vistosa, anche per il semplice fatto che il campo fu liberato dall’Armata Rossa sovietica, proprio il 27 Gennaio del 1945. Va da sé che un “passo” del genere per Putin significherebbe riaprire uno spiraglio di intesa con la Polonia, ma soprattutto anche con la vicina Ucraina, dopo i fatti degli scorsi mesi: evidentemente una guerra non troppo fredda deve continuare.  E se all’Armata Rossa va dato atto di aver aperto i cancelli dell’inferno in Terra 70 anni fa, al “boss” sovietico va riconosciuto che invece ha aperto i cancelli per una diaspora creativa: solo qualche giorno fa, dal Guardian a The Art Newspaper, che ha anche una versione proprio in lingua russa, si elencavano i fuoriusciti dal “Regno”: artisti più o meno conosciuti, e più o meno scomodi, che grazie alle loro possibilità sono andati proprio in Ucraina, in Polonia o, addirittura, anche in Montenegro. 
Hai ancora qualche giorno per ripensarci Vladimir, e forse sarebbe l’occasione buona per passare alla storia. Non solo come l’ultimo despota di un mezzo continente sempre più stremato, non tanto dal gelo quanto dalla forbice, dalla mancanza di diritti e da un militarismo parossistico e antiquato. Si salvi chi può, allora! 

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