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Siamo a Juarez, in Messico, dove il Papa ha detto messa a 80 metri dal confine più sorvegliato del mondo, in una nuova “performance” atta a richiamare pecorelle smarrite nel regno della Chiesa. Sorvoliamo l’antefatto, e andiamo al sodo. Anche quest’oggi, infatti, è un’opera d’arte decisamente politica a raccontarci di un certo clima che si respira negli Stati Uniti a poche settimane dalle Presidenziali.
L’ha messa in scena l’artista palestinese Khaled Jarrar, che al confine tra Messico e USA, in risposta alla voglia alzare muri e non di creare ponti di uno dei candidati repubblicani favoriti, Donald Trump, ha costruito un “monumento al problema globale della migrazione”. La comunità locale pare l’abbia invece ribattezzata la “Scala di Khaled”, realizzata con pezzi recuperati dai divisori del confine, nella stessa area incriminata. E per dimostrare che è decisamente discutibile il motto di Trump, ovvero che “Una nazione senza confini non è una nazione”. Jarrar dalla scorsa fine di gennaio sta viaggiando a bordo di un pullman dell’Associazione Culturunners, che ha coperto nell’arco di un anno oltre 13 miglia e 24 Stati in un collegamento di artisti attraverso il Medio Oriente, l’Europa e gli Stati Uniti. Il mese prossimo il Culturunners arriverà proprio a Washington, dove il team spera di parcheggiare davanti alla Casa Bianca e dove allo Smithsonian vi sarà la prima mostra a stelle e strisce in collaborazione con il no profit saudita Art Jameel, dove sarà presente anche Jarrar che nel 2014 era stato interdetto ad entrare in territorio americano, nonostante l’invito a una tavola rotonda al New Museum. Un monumento e una storia emblematica, che rassomiglia moltissimo anche all’immagine scelta come guida per la 15esima Biennale di Architettura di Aravena. Guardando oltre l’orizzonte dei confini. (MB)