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25
maggio 2016
Se il privato non brilla
Il fatto
Spesso hanno fatto indispettire le prese di posizione di Settis e Montanari, giusto per citare due nomi noti, sulla necessità di mantenere pubblica la gestione dei Beni Culturali, ma in effetti non sempre il privato funziona. E c'è un ultimo, lampante, esempio
di redazione
Succede che anche le buone intenzioni non sempre portano a buone trasformazioni. Leggi “non sempre il privato brilla”, come sta accadendo alla Villa Reale di Monza. All’inizio dell’anno viene nominata direttrice Alessandra Galasso, docente alla NABA di Milano e vent’anni di esperienza passati tra gallerie d’arte e musei, no profit, editoria, come exhibition coordinator e curatrice associata al PS1, chief curator al MAGASIN di Grenoble, curatrice associata al Museo del Novecento di Milano e infine, direttore artistico ed esecutivo della Villa Reale di Monza. E già qui la situazione fa riflettere: la neodirettrice (mai stata ufficialmente presentata alla stampa) era stata chiamata a coprire due ruoli molto diversi tra loro.
E che evidentemente non hanno collimato con quelle che erano le aspettative dell’istituzione, che ha chiesto a Galasso di recedere dal proprio contratto di lavoro dopo nemmeno 6 mesi da quello che doveva essere il primo rinnovo (previsto dopo 12). La prima domanda, semplicissima, è la seguente: chi ha guardato il curriculum? Che funzione avrebbe dovuto avere la direttrice? Forse nessuna. O forse quella della foglia di fico, di una “Yes woman” per coprire un programma già delineato nel suo non esserlo.
Ricordiamo, infatti, che con un modello di “Project Financing”, la concessione della Villa Reale di Monza per i prossimi 20 anni è affidata a Nuova Villa Reale di Monza Spa controllata da Italiana Costruzioni, ditta che ne portato a termine in tempo record un restauro impeccabile, ma che evidentemente non si intende particolarmente di scelte direzionali. L’aspetto “pubblico” del sito è invece dato dal Consorzio Villa Reale e Parco di Monza, ai cui vertici stanno parecchi rappresentanti di istituzioni locali, che ne gestisce appunto anche il parco che comprende l’Autodromo, e che si prende dei benefit (ovvero 36 giorni a disposizione l’anno, per piano) per le proprie iniziative, solo per fare un esempio. Cosa succede, dunque, tra le parti? Che ognuna guarda al proprio orto, con i propri eventi, mostre e iniziative. E se poi ci si mette che dentro la stessa Villa ci sono altre concessioni a Triennale, Camera di Commercio di Monza che occupano le sale di rappresentanza, tra cui lo spettacolare Salone delle Feste del primo piano nobile, e che una di queste era gestita da un’agenzia di eventi, il gioco è bello e fatto, e anche quello che ci si può aspettare.
La questione, insomma, non è ancora una volta la gestione del museo o del Bene da parte del privato, ma l’uso “privatistico” che se ne fa, un po’ come avviene in tanti altri casi, compreso il MUDEC di Milano.
Perché va bene che Civita o le case editrici gestiscano i bookshop dei musei senza monopolizzare intere strutture, come avviene con Coopculture al Colosseo, ma dovrebbe essere così anche per altri spazi emblematici gestiti da chi, forse, ha altre conclamate competenze. Ed è un vero disastro se quella che potrebbe essere la Versailles di Milano viene utilizzata come un contenitore scevro di contenuti, dove si passa da un quadro di Caravaggio – uno e uno solo – che miete 40mila ingressi, a una mostra non inedita di ritratti di Giovanni Gastel (attualmente in corso). Senza togliere né all’uno né all’altro, sarà ben difficile costruire un’identità e un’affezione da parte del pubblico. Per non parlare di una memoria o percorso coerente.
Questo lo hanno detto anche lo scorso 7 maggio coloro che sono scesi in piazza in una manifestazione che è stata chiamata “Emergenza Cultura”. Spesso si sono presi dei reazionari, dei retrogradi, perché oggi come oggi – sempre secondo l’opinione diffusa – non è più possibile tenere fuori il “privato” dalla tutela dei Beni Culturali. Il “pubblico” è stata maledizione di decenni, colpa di degrado, abbandono, e in parte ancora è così. E allora sempre viva a chi mette mano al proprio portafogli per aiutare la cultura del Paese? Non sempre, visto che capita che le buone azioni si rivelino essere specchietti per altri traffici.
Ma chi sono “loro” che hanno iniziato questa battaglia? Per esempio Salvatore Settis e Massimo Bray, Tomaso Montanari, Vittorio Emiliani e Rita Paris, oltre a varie associazioni e sindacati, al grido di “Le modifiche dell’ordinamento introdotte dal Governo Renzi, e passivamente subite dal ministro Dario Franceschini, stanno di fatto rimuovendo dalla Costituzione l’articolo 9 [La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico…ndr] Le generazioni future rischiano di non ricevere in eredità l’Italia che noi abbiamo conosciuto. Noi vogliamo che la cultura sia davvero un servizio pubblico essenziale, che i musei siano fabbriche di sapere, che le scuole formino cittadini e non consumatori”. E che i musei, anche, non siano appendici della politica aziendale. (MB)
buongiorno,
rispetto a quanto riportato, con alcune imprecisioni, nell’articolo di cui sopra, è necessario precisare il contratto di concessione del cosiddetto “Corpo Centrale” della Villa Reale di Monza, prevede alcuni strumenti di controllo da parte del Pubblico (il Consorzio) sull’operato del privato (Nuova Villa Reale Monza s.p.a) e questo non solo relativamente agli aspetti tecnici di mantenimento del bene, ma anche rispetto agli aspetti gestionali e programmatori, così come era previsto un controllo del pubblico sull’esecuzione dei lavori.
questo per dire che forse la responsabilità non è tutta e solo del privato e che prima di farne un’esempio dell’inadeguatezza del privato, sarebbe opportuno considerare gli aspetti di complessità di quella che mi risulta essere la prima Concessione nel suo genere in Italia.
Vorrei conoscere il nome dell’autore dell’articolo. Grazie
matteo bergamini m.bergamini@exibart.com