15 maggio 2015

Stampa buona, stampa cattiva o mal pagata?

 

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Dunque esiste. Non è stata mangiata dai social media, dove spesso il pubblico mette il like senza neanche aver letto il pezzo. Nel bene e nel male, l’informazione è viva e lotta insieme a noi. 
Nel bene: sono tra i 30 e i 50 i giornalisti sotto scorta (il ministero dell’Interno non fornisce dati precisi) perché autori di inchieste che graffiano e scoperchiano, a volte anche in anticipo rispetto alla magistratura, i piani criminali di mafie capitale, di chi scorrazza da padrone quasi indisturbato tra appalti e finanza. Non ci sono solo i nomi noti di Roberto Saviano, di Sandro Rutolo di Servizio Pubblico, di Lirio Abbate, giornalista dell’Espresso e autore della prima inchiesta su Mafia Capitale o di Magdi Cristiano Allam, editorialista del Giornale che, grazie alla conoscenza dell’arabo, ha svelato le incitazioni alla jihad fatte dentro le moschee e coperte dalle preghiere. Ci sono anche giornalisti che vivono in provincia, costretti a cambiare vita, a rompere rapporti «perché gli amici, le stesse fonti a cui ti rivolgevi per lavoro, ti evitano. Hanno paura, temono ritorsioni», come racconta Michele Albanese, cronista giudiziario del Quotidiano del Sud. 
Per fortuna il fenomeno non ha le stesse drammatiche proporzioni degli attentati, anche esiziali, che hanno subito alcuni magistrati. Ma rendiamo merito almeno a certa stampa di lavorare con la schiena dritta, smentendo lo stereotipo che la vuole tutta (o quasi) svenduta e che spesso è accusata di aver “travisato” le parole del potente di turno, quando questo, per smentire una bufala appena detta, non trova di meglio che accusare il cronista. 
E a proposito di bufale si apre il capitolo “nel male”, ma con qualche ma. Fulvio Benelli, inviato ma precario (fino a poco tempo fa i due termini erano incompatibili) di Quinta Colonna e dalla Parte vostra, programmi di Mediaset in onda su Rete 4, è stato licenziato in tronco con l’accusa di aver confezionato falsi scoop prima su un Rom truffatore di italiani e poi su un estremista musulmano. In entrambi i casi aveva pagato una persona per farsi riprendere di spalle camuffato e raccontare le bufale. 
Il bello, però, che a scoprire le malefatte di Benelli, è stato Moreno Morelli di Striscia la notizia, programma di punta di Canale 5. Insomma, tutto “Made in Biscione”, dove il programma di satira diventa l’inchiesta tosta e quello di informazione giornalistica un cabaret per trasformisti. 
E non basta. Un sostegno a Benelli è arrivato da una grande firma del giornalismo italiano, Gad Lerner, che nel suo blog ha postato accuse pesanti a chi sta sopra i precari mandati in giro a realizzare servizi, affermando che Fulvio Benelli è il “capro espiatorio” di «una tv che si nutre di falsi scoop come i suoi». Aggiungendo che «chi oggi lo licenzia ne conosceva benissimo e incoraggiava il metodo di lavoro nella pseudo-tv-verità».   
Roba forte, insomma, che non solo mette sotto accusa la cosiddetta tv-verità (indovinate inventata da chi), ma che soprattutto scava nel marcio di quello che oggi è spesso l’editoria con inviati, collaboratori precari, sottopagati e sotto pressione per fare carriera anche nei modi più illeciti. Le responsabilità non sono solo dei direttori ma, come si diceva un tempo, dei padroni che ormai fanno le nozze coi fichi secchi. L’informazione a costo zero, o a colpi di falsi scoop. 

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