Ci risiamo. Quello di oggi a Barcellona è, infatti, l’ultimo in ordine di tempo di una lunga serie di attentati terroristici portati a termine, da piccole cellule o “lupi solitari” jihadisti, a bordo di auto, camion o van. Questa modalità, sconvolgente nella sua letale rudimentalità, era stata codificata e “consigliata” nel magazine on line dell’Isis “Rumiyah” già dal novembre 2016, l’anno in cui è stata “sperimentata” ufficialmente sul campo nelle stragi di Nizza e di Berlino.
E i commenti, ormai, sono superflui e, strage dopo strage, sono un po’ sempre gli stessi. Com’è possibile? E, invece, purtroppo è possibile. E c’era da aspettarlo. D’altronde di spie rosse se ne erano già accese tante negli ultimi tempi sul cruscotto delle autorità spagnole. Stando a quanto riportato dalla stampa locale, la Cia aveva allertato i Mossos, la polizia catalana, due mesi fa sulla possibilità che a Barcellona, e in particolare sulla Rambla, ci potesse essere un attentato. Proprio come quello che si è puntualmente verificato. Ma la Spagna, in realtà, è già da molto tempo nel mirino del terrorismo di matrice islamica. Un recente studio dell’Instituto Elcano ha rilevato che dei 150 jihadisti arrestati sul suolo spagnolo negli ultimi quattro anni, 124 erano collegati allo Stato islamico e 26 ad Al Qaeda. Quindi era una questione di tempo. E il conto alla rovescia si è arrestato improvvisamente il 17 agosto 2017.
Ancora turisti e abitanti del luogo a essere falcidiati (c’è il rischio di eventuali coinvolgimenti di nostri connazionali tra le vittime, secondo quanto si apprende da fonti della Farnesina).
E ancora una volta la scena della strage è un simbolo di cultura, di uno stile di vita, un’immagine “globale” non solo della capitale catalana, ma di tutto l’Occidente. È la Rambla, il viale di Barcellona lungo circa un chilometro e mezzo che collega Plaça de Catalunya con il porto antico. L’unica strada al mondo che Federico García Lorca voleva che non finisse mai. Un susseguirsi di bancarelle, caffè con intermezzi di artisti di strada. Ma c’è di più in questo caso. “Nome omen” dicevano i latini, “il nome è un presagio”. La parola rambla deriva, infatti, proprio dall’arabo ( raml cioè “sabbia”). La stessa lingua di chi ha rivendicato l’attentato e di quei musulmani convinti che i territori islamici perduti durante la riconquista cristiana dell’Europa appartengano ancora al regno dell’Islam. Quanto ancora l’Europa potrà subire? (CBS)