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La “bombetta” l’ha lanciata ieri Luca Beatrice, dalle colonne de Il Giornale: “Michele Ciacciofera, che vive con Christine Macel a Parigi, è un pittore tradizionale e davvero poco noto. Vista la scelta familiare così rischiosa, che non mancherà di suscitare qualche polemica, speriamo almeno sia valido”, scrive il critico e curatore. Tono più o meno moderato, per un atteggiamento – quello di Macel – che in fondo è decisamente umano. Il vizio di famiglia è trasversale: nella cronaca degli ultimi giorni c’è il gollista François Fillon, che proprio in Francia ha assunto la moglie e in queste ore sta combattendo una battaglia mediatica contro l’opinione pubblica. Trump ha scelto il cognato per le questioni legate all’economia e al Medio Oriente; Bossi mise suo figlio al Consiglio Regionale della Lombardia, e non aveva nemmeno uno straccio di laurea in tasca. E poi ci sono le famiglie allargate: quante volte si sono sentite critiche rispetto alla “Family Businness” Cattelan-Gioni-Alemani? Francesca Alinovi aveva messo il fidanzato Francesco Ciancabilla, unico accusato del delitto, tra i “suoi” pittori.
Assumere qualcuno della propria famiglia non è mai ben visto: significa raccomandare ancora più spudoratamente di una qualsiasi raccomandazione fatta a collaboratori o affini. Eppure, senza troppi moralismi, da una parte all’altra del globo, l’attitudine persiste. Nell’arte, come nella politica, come nelle professioni liberali, come nei posti statali (almeno in Italia).
E allora? E allora chissenefrega, direte voi? Non proprio. Perché se Michele Ciaccofera si rivelerà essere un flop ci andrà di mezzo la credibilità della direttrice, e forse un poco anche della Biennale. Se invece scopriremo un bravo artista, beh…chapeau alla scelta.
E se invece non sarà né flop né top, ma dopo i giorni veneziani tutto tornerà nell’anonimato – come accaduto a migliaia di artisti dal 1895 ad oggi – chissenefrega! (MB)