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27
aprile 2015
Si, lo sappiamo che in Nepal si stanno ancora contando le vittime del sisma, e che forse non è il caso di parlare di cultura, o almeno non ora. Eppure è impossibile non essere affranti nel vedere ridotte in macerie la piazza Durbar di Katmandu, la Torre Dharahara costruita nel 1832, il tempio di Manakamana a Gorkha, il lato nord di Janaki Mandir e la Piazza Durbar nella città medievale di Patan, e anche Bhaktapur, altro centro culturale del Paese disteso alle pendici dell’Himalaya.
Tutto sotto la magnitudo si è trasformato in polvere e quello a cui bisognerà prestare particolarmente attenzione, stavolta, è la ricostruzione. Prima di tutto perché il Nepal continua ad essere un Paese povero, e dopo questo fatto al collasso, per cui potrebbe volerci diverso tempo prima di tornare alla normalità; secondo perché è facile prevedere che le difficili condizioni potrebbero non solo aprire a speculazioni nella giovanissima repubblica (il Nepal, dopo quasi due secoli e mezzo di monarchia, è tale dal 2008), ma anche per l’istillarsi di una voglia di “modernità”, nonostante la città sia mondialmente riconosciuta proprio per i suoi templi e le sue meraviglie architettoniche, che si perdono nella storia del luogo e che a più riprese sono state ricostruite.
Dopo un evento naturale catastrofico il territorio resta debole, esposto, non soltanto alle malattie, alla tragedia, o – come accade nel mondo occidentale – al “si poteva prevedere”. Una città dopo un sisma è territorio delle razzie politiche, del monopoli degli appalti, dello sperpero del denaro pubblico nell’inutile e nel dannoso, per riempire le tasche di tangenti e voti, almeno da queste parti.
Lo abbiamo visto recentemente con il fenomeno delle “new town” a l’Aquila, mentre il centro cade ancora a pezzi; una storia che, per fortuna, ha risparmiato i piccoli centri dell’Emilia. Vedremo cosa capiterà in un Paese così “esotico”, lontano, schiacciato dalle grandi potenze dell’India e della Cina. Un cuscinetto vero e proprio che da oggi qualcuno dovrà aiutare a cercare di sollevarsi, evitando ulteriori scempi non compiuti già dalla natura. Noi comuni mortali non potremmo fare altro, invece, che aiutare il Nepal tornando ad ammirarlo, senza aspettare miracoli e senza aspettarci che “tutto sarà come prima”. (MB)