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Si sa, la vita non è fatta di dati, e forse nemmeno il turismo. Eppure, ogni tanto, fa bene fare qualche conto. Ci stanno pensando in queste ore a Pietrarsa, dove si tengono gli annuali “Stati Generali del Turismo”. E che si dice? Che in Italia gli ingressi da parte dei turisti internazionali sono aumentati del 3 per cento rispetto al 2014 e la spesa viaggia quasi a un più 5 per centi, per una movimentazione totale di indotto che arriva dai clienti stranieri a quota 35 miliardi di euro.
“Le entrate turistiche rappresentano il 7,2 per cento del totale dell’export italiano, dato che ci vede in linea con Paesi come la Francia e il Regno Unito, dove le entrate turistiche rappresentano rispettivamente il 7,8 per cento e il 7,4 dell’export totale”, si legge nella nota stampa. Ma come? Il “Paese con più tesori, arte, storia del mondo” – per citare un claim tutt’ora in voga – fa meno di Regno Unito e Francia che, parliamoci chiaro, offrono senz’altro meno?
Ebbene sì, e ci bruciano anche Paesi europei con una minore tradizione manifatturiera dove il turismo va bene oltre, in alcuni casi, del 20 per cento dell’export totale, come ad esempio la Grecia, la Spagna, il Portogallo.
Insomma, va bene ma non troppo, se proprio vogliamo fare le pulci. Anche perché, com’è possibile che nelle aree del Mezzogiorno si rechi solo il 15 per cento degli arrivi dall’estero? E perché non riuscire a catalizzare ulteriormente quei 171 miliardi di euro che rappresenta il flusso con effetti diretti, indiretti e indotti e che forma quasi il 12 per cento del PIL nazionale e la stessa percentuale in fatto di occupazione? (MB)