Da qui al Giappone le ore di fuso sono molte, ma non sono poi tante quelle che separano la “clausura” di certi temi. Le sessualità, in fondo, è ancora uno di questi. Ci sono voluti 30 anni perché l’Italia “accettasse” il problema dei diritti civili, di un’affettività “diversa”, e non immaginiamo cosa potrebbe succedere se avessimo in giro qualche artista come Megumi Igarashi, la “creativa” della vagina che un tribunale di Tokyo ha accusato di oscenità per un kayak a forma di sesso femminile. Ora, a poche settimane dalla condanna, arriva un nuovo affondo: stavolta è un libro d’artista, firmato sotto lo pseudonimo di Rokudenashiko, che si intitola “What Is Obscenity? The Story of a Good For Nothing Artist and Her Pussy”, ovvero “Storia di un’artista buona a nulla e della sua vagina”.
Megumi, che attraverso la sua arte ha detto di voler presentare l’anatomia come più luminosa, più divertente e meno grave, sta scoprendo il lato maschilista e bigotto del grande Paese orientale, in una chiave decisamente diversa da quella che ci aveva proposto Araki, solo per fare un esempio, con la stessa forza dirompente: mentre il fotografo restava inquietante e, appunto, grave, Igarashi ha sbattuto in faccia il vero problema: in Giappone dire la parola vagina, o monko in slang nipponico, è considerato osceno. Ma davvero, con tutti i problemi che ha l’Occidente (di cui nel bene e nel male il Giappone conservatore fa parte) ci si può ancora perdere davanti ad un pezzo di corpo? Evidentemente sì, mentre la comunità artistica internazionale sta plaudendo a un lavoro travolgente e perfettamente al passo con i tempi. Insomma, sarà pure buona a nulla, ma di spine del fianco Megumi ne sta mettendo. E ben ci sta. (MB)