Categorie: in fumo

in fumo_anniversari | Era meglio sfogliare da piccoli

di - 16 Settembre 2009
Lo hanno ricordato in tanti: il 27 dicembre 1908 usciva il
primo numero del “Corriere dei Piccoli” e teneva ufficialmente a battesimo in
Italia il “fumetto”, così definito per la prima volta proprio su quelle pagine.
A celebrare la ricorrenza centenaria si sono affiancate un libro antologico, un
francobollo delle Poste Italiane e una grande mostra nella città natale del
periodico, Milano.
Al di là della notizia specifica e delle manifestazioni a
essa collegate, l’occasione può essere interessante per fermarsi a riflettere
un momento sulla presenza e sull’importanza innegabile nell’immaginario visivo
e artistico nazionale di un giornale che si è insinuato capillarmente nelle
case di cinque generazioni di italiani.
I primissimi anni, fin dall’esordio, furono di sicuro
esplosivi quanto a incidenza estetica sul “provinciale” pubblico italiano. Il
gruppo di persone che aveva pensato il giornale iniziò con lo spartire le
pagine a colori tra alcune realizzazioni grafiche autonome affidate ad artisti
nazionali e molti “comics” importati dagli Stati Uniti (che com’è noto vennero
amputati degli originari “balloons”, le nuvolette contenenti i testi dei
dialoghi, per rimpiazzarli con i fortunati distici in rima baciata, considerati
più letterari e più educativi).
Di grande impatto furono naturalmente le scoperte di modi
di raccontare inediti e molto coinvolgenti, per allora, come quelli
dell’elegantissimo Little Nemo (ribattezzato Bubi) di Winsor McCay, degli scatenati Katzenjammer
Kids
(Bibì e
Bibò) di Rudolph Dirks, dell’irriverente Buster Brown (Mimmo) di Richard Felton Outcault, del patetico Happy Hooligan (Fortunello) di Frederick Burr Opper, e così via.
Vi si scopriva un modo di raccontare attraverso immagini
in sequenza che ricordava il cinema, linguaggio coetaneo del fumetto, e che
nello stesso tempo ne riverniciava con allegria inedita le forme e i contenuti.
Le storie avevano respiro breve, racchiuso in genere in sole otto inquadrature,
ma la ritmica, di essenziale compiutezza, conferiva un’eccitazione nuova alla
lettura, allontanandola decisamente dalle “lente” righe di piombo della pagina
letteraria.
Anche l’essenzialità dei disegni, in miracoloso equilibrio
tra resa realistica e interpretazione caricaturale, contribuiva a creare un
lettore nuovo, che leggeva con lo sguardo insieme con la mente, che cioè poteva
percepire e interpretare già a colpo d’occhio. Una cultura visiva fin lì
sconosciuta prendeva forma; e non a caso fu per lunghissimi decenni,
addirittura fino agli anni ‘60, osteggiata dalla cultura “ufficiale” di matrice
solo libresca e poi crociana.
Sul versante autoctono, i nostri autori illustravano bene
la temperie artistica del momento, tra gli ultimi scampoli del Liberty e la
nascente Art Déco. Se il fantasioso negretto Bilbolbul di Attilio Mussino aveva movenze ancora
tardo-ottocentesche, i personaggi di Antonio Rubino (da Pierino e il burattino a Quadratino) testimoniavano invece a
meraviglia il movimento diversamente nervoso ma inevitabile tra la linea curva
di tradizione floreale e quella retta del più moderno gusto decorativo.
È proprio in questo ambito, così pienamente “novecentesco”
per come lo si percepiva allora in Italia, che vanno incontro con successo alle
aspettative loro contemporanee personaggi come il delizioso Bonaventura di Sergio Tofano (dal 1917) e il geometrico Marmittone di Bruno Angioletta (dal 1928). Figure che diverranno
popolarissime e proverbiali, fino a rappresentare un’epoca, non meno del Sor
Pampurio
di Carlo
Bisi
(1929). Il
Futurismo italiano ha avuto agio d’imporsi come moda estetica corrente anche
grazie all’opera indefessa di penetrazione di quelle pagine colorate, con ritmo
iterativo settimanale, nelle case dalle Alpi alla Sicilia.
Poi, malgrado le lunghe sopravvivenze dei personaggi
succitati, che restarono le colonne del “Corrierino” almeno fino a tutti gli
anni ‘50, in realtà il periodo fascista e quello bellico, quanto mai
appiattenti, portarono a un’inevitabile caduta generale di creatività, sino a
far intravedere i primi segnali di recupero appunto nel periodo della
ricostruzione matura e verso il boom economico dei ‘60.
In quegli anni il “Corriere dei Piccoli” trova una serie
di collaboratori grafici di altissimo livello, che interpretano ognuno a modo
proprio le insopprimibili esigenze di rinnovamento sociale ed estetico. Accanto
a illustratori di inesauribile fantasia realistica, passateci la definizione,
come Mario Uggeri
o Aldo Di Gennaro,
tra illustrazione e fumetto arrivano dei fuoriclasse come Dino Battaglia, la cui cifra resta ovunque
l’eleganza grafica, e Sergio Toppi, invece dal segno potente ed evocativo.
Due donne segnano intanto il periodo forse più felice in
assoluto nella storia del giornale: l’affidabile Iris De Paoli e la straordinaria Grazia
Nidasio
, autrice
di personaggi femminili – da Alibella a Violante, da Valentina Melaverde alla Stefi – che riescono a unire un segno
innovativo e immediatamente comunicativo con un raro fiuto sociologico nella
trattazione degli argomenti “giusti”. E, sul versante del fumetto, comincia a
giganteggiare Hugo Pratt, con le sue storie di avventure esotiche, trattate coraggiosamente
con pennello ora impressionista e ora espressionista, che preannunciano i
grandi fasti successivi del suo Corto Maltese.
È cambiata la grafica. I rivoluzionari anni ‘60 lasciano
il segno ovunque. Ed è così che sulle paginone del settimanale si alternano
nomi che sanno bene interpretare quanto influenzare il gusto dell’epoca: Bruno
Bozzetto
, Gino
Gavioli
, Benito
Jacovitti
; poi,
mentre la testata si trasforma in “Corriere dei Ragazzi” (primo segnale di una
crisi di lettorato in agguato), ecco arrivare tra gli altri Bonvi, Franco Bruna, Milo Manara, Federico Maggioni, Altan, tutti nomi che hanno fatto la
loro parte nella storia del disegno italiano del secondo Novecento.
Tutti diversi tra loro, per fortuna, a sottolineare una
scelta vincente di varietà nel menu del settimanale, che ha permesso a quelle
ultime leve di lettori di poter crescere criticamente sul regolare confronto
tra stili e tecniche. Cosa che oggi, in totale assenza di un esercizio
periodico come quello che si poteva affrontare su quelle pagine, ai ragazzi
italiani contemporanei non è più concessa.

ferruccio giromini

la rubrica in fumo è diretta da gianluca testa


*articolo pubblicato
su Exibart.onpaper n. 59. Te l’eri perso? Abbonati!

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