È uno che sa stare al gioco,
Sergio Bonelli. È cordiale con tutti e ha sempre una buona parola da spendere.
Fa sentire importante il suo interlocutore, lo degna di attenzione e quasi mai
si sottrae a chi gli chiede un’opinione. Così è stato anche al Museo del
fumetto di Lucca, dove il patron del
fumetto nazionale ha incontrato un pubblico composto quasi esclusivamente da
lettori. I “suoi” lettori. Un’occasione, questa, per parlare del
futuro della casa editrice.
In un momento in cui il mercato
cambia e si fa sempre più fluido, Bonelli, che al di là di tutto ha le idee
chiare, non usa mezze misure. E parla alla platea come a un familiare: “Se mi sono circondato da
professionisti più giovani“, spiega, “significa che a questo punto, alla mia età, non ho intenzione di
influenzare più di tanto il futuro della casa editrice. Molto più di quanto
accadeva in passato, oggi mi fido soprattutto delle intuizioni di chi collabora
con la casa editrice. E il mio ‘fiuto’ lo metto da parte. Anche perché uno
scrittore o un direttore che oggi ha cinquant’anni, beh, è già più
avvantaggiato di me che, ahimè, ne ho un po’ di più…“.
La tendenza di Bonelli è quindi
evidente: affidarsi con fiducia ai nuovi collaboratori. Perché a differenza di
altri settori dell’arte e della ricerca, qui si è capito che la fuga di
cervelli (o di “penne”, se vogliamo definirla così) non è un bene per
nessuno. E così la Bonelli si mette nelle mani di quei giovani capaci di
anticipare i tempi e proporre opere adeguate al pubblico contemporaneo.
“Del
resto non ho molti meriti“, prosegue il Bonelli editore. “E i numeri di oggi sono ben lontani
da quelli che la casa editrice aveva anche solo quindici anni fa“.
Colpa di scelte sbagliate? “No.
Questa non è la conseguenza di flop, che comunque ogni tanto ci concediamo…“,
racconta Sergio con un velo di sincera ironia. “Noi sbagliamo come tutti gli altri. Semmai il problema è che
il pubblico giovane non è più interessato come un tempo alla lettura del
fumetto. Pretende sempre di più, forse perché è maturato e quindi anche più
colto“. E allora, nonostante questo, perché Tex resiste? “Perché esistono ancora molti
lettori fedeli del passato”.
Eppure, nonostante sia difficile
fare previsioni, un sassolino dalla scarpa Bonelli se lo vuole togliere. E
riguarda il fenomeno delle miniserie. “Che
mi fan talmente schifo…“, confessa con una battuta a mezza
bocca pronunciata col microfono inconsapevolmente a distanza. Poi però
chiarisce. Perché questa non è una gaffe, ma appunto una battuta. “Non sono io che, volendo spendere
meno soldi, ho proposto le miniserie. Sono gli stessi autori ad avere un’ideuzza
che a loro parere non potrebbe reggere più di tanto. Quindi, invece di pensarne
una a lungo termine capace di durare anche cinquant’anni, si tengono quella
buona solo per venti numeri. Poi, come editori, essendo lenti perché calmi e
riflessivi non potremmo neppure permetterci di fare delle serie così corte“.
Questo, però, non significa
rinunciare alle miniserie. Tutt’altro. L’atteggiamento di Bonelli, infatti, è
piuttosto limpido. “Non faccio
altro che leggere fumetti“, racconta. “Ma a questo punto della mia vita desidero un minor
coinvolgimento. Se mi propongo una miniserie, beh, sono favorevole a stamparla.
Saranno senz’altro meno impegnative delle serie lunghe come Tex, Zagor, Nathan
Never, Martin Mystère e così via“. Quindi il futuro è
rappresentato dal presente. Con un sostanziale via libera alle nuove produzioni
a tempo. “Finché gli autori
delle miniserie le azzeccano, procederemo così“, conclude
Bonelli. Ma se non dovessero funzionare? E qui Bonelli sigilla la conversazione
con un’altra battuta: “In quel
momento potrò andare in pensione anch’io. O no?“.
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