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14
maggio 2008
Sullo schermo spezzoni in bianco e nero del film d’animazione di Marjane Satrapi e Vincent Paronnaud che -premiato a Cannes nel 2007 e candidato agli Oscar nel 2008 (quest’ultima esperienza viene bollata dalla protagonista con un cinico “avevo l’impressione di vivere in un fast food”)- è approdato anche nelle sale italiane lo scorso febbraio.
Persepolis è la storia autobiografica di una ragazzina che cresce nella Teheran degli anni ’80, nella fase transitoria dalla caduta dello scià all’instaurazione della Repubblica islamica. Dal chador sprizza ribellione, Marji ascolta di nascosto i Bee Gees, gli Iron Maiden, Michael Jackson, Kim Wild. E ha tanta voglia di libertà. Una libertà che ha il prezzo dell’esilio.
Quando a 14 anni verrà mandata a Vienna per studiare, la giovane porterà con sé un vasetto con la terra del giardino di casa -terra d’Iran- e la consapevolezza che il cambiamento sarebbe stato radicale. L’ultima immagine proiettata è a colori: il profilo di una giovane donna vestita di rosso che guarda lontano mentre fuma una sigaretta.
Rosso come le unghie laccate che illuminano la sagoma di Marjane Satrapi, completamente vestita di nero, seduta sul palco del Teatro Studio dell’Auditorium Parco della Musica, davanti a un vasto pubblico. Reduce dal tour estenuante di presentazione del film in giro per il mondo -fattore determinante per renderla insofferente (più che prudente) nel rilasciare interviste- l’autrice iraniana è una vera bomba di ironia e intelligenza. Non si risparmia nel rispondere al mediatore, Giovanni De Mauro, direttore di “Internazionale”, testata con cui collabora dal 2003.
È vera la storia dell’amato zio Anush, incarcerato ai tempi dello scià e giustiziato dai rivoluzionari. Ma è un capitolo troppo doloroso della sua vita. Quando, invece, le viene chiesto se può tornare nel suo Paese, lei risponde che “sì, posso tornarci. Ma non sono sicura di poter uscire”. Non teme per la sua famiglia che vive lì, perché la paura è un sentimento istintivo. Piuttosto una volta, durante una conferenza in Texas, circondata da yankee in versione cowboy, per un attimo l’ha sfiorata il pensiero che qualcuno di loro avesse anche il cinturone e tirasse fuori la pistola. “Invece quello che mi ha aggredito di più, alla fine ha comprato sette libri e mi ha detto che quello che dico non è poi così stupido”.
“Non faccio rivelazioni”, precisa Marjane. “Descrivo una situazione. Non sono aggressiva, non provoco, non ho problemi con la religione, né con gli uomini”. Ricollocare le cose nel loro contesto, questo è basilare per Satrapi, cercando sempre di vedere la realtà da un punto di vista globale, con uno sguardo che abbracci le varie sfaccettature. Non a caso l’inizio del suo percorso intellettuale è stato proprio Rashômon (1950), il film di Akira Kurosawa, visto all’età di otto anni, che racconta di un omicidio attraverso cinque versioni diverse.
“Non sono a favore di nessuna rivoluzione, credo piuttosto nell’evoluzione”, afferma inquadrando l’attuale situazione in Iran, dove una donna vale la metà di un uomo. “Le donne non possono testimoniare, perché ritenute troppo fragili emotivamente, perciò inattendibili. Eppure il 64% degli studenti sono donne. È un percorso lungo, ma la società iraniana è in cammino e nel tempo si vedranno i risultati. Del resto anche in occidente l’emancipazione femminile è storia recente. Un tempo le donne svenivano, ma nessuno ha mai pensato che fosse a causa di busti troppo stretti imposti dalla moda”.
È coraggiosa? No, piuttosto si considera egoista e individualista. “Le persone coraggiose sono quelle rimaste in Iran”, che portano avanti le loro battaglie quotidiane, magari lavorando in settori come quello legislativo o creativo. In Iran, tra l’altro, il suo film è stato vietato perché il regime non ritiene che racconti la verità. “Hanno tagliato dodici sequenze per ragioni sessuali. Non capisco proprio quali siano…”. Ma se il circuito ufficiale è interdetto, la diffusione di dvd pirata con i sottotitoli in farsi è addirittura incentivata: basta pagare due dollari.
Il lungometraggio parte, dicevamo, dai primi volumi dell’omonimo romanzo a fumetti -pubblicato per la prima volta in Francia tra il 2000 e il 2003- ma è un lavoro a sé. Non è certo uno story board per il cinema. La realizzazione è stata complessa, visto anche il rapporto conflittuale che l’autrice ha con la tecnologia, che definisce “sorella puttana della scienza“. Tant’è che è stato disegnato tutto a mano con il contributo di un centinaio di collaboratori. Proprio come avveniva per i tradizionali cartoon.
Critica, metodica, ma anche caotica e solitaria, Marjane Satrapi sottolinea infine l’importanza del disegno, troppo spesso relegato a un ruolo di secondo piano rispetto alla scrittura, dimenticando che è il primo linguaggio dell’essere umano. “Di solito alle persone piace scrivere oppure disegnare. A noi autori di fumetti piace fare entrambe le cose. Siamo i bisessuali della cultura. Alla gente non importa niente se sei omosessuale o eterosessuale, ma si fa un sacco di problemi se sei bisessuale…”.
Persepolis è la storia autobiografica di una ragazzina che cresce nella Teheran degli anni ’80, nella fase transitoria dalla caduta dello scià all’instaurazione della Repubblica islamica. Dal chador sprizza ribellione, Marji ascolta di nascosto i Bee Gees, gli Iron Maiden, Michael Jackson, Kim Wild. E ha tanta voglia di libertà. Una libertà che ha il prezzo dell’esilio.
Quando a 14 anni verrà mandata a Vienna per studiare, la giovane porterà con sé un vasetto con la terra del giardino di casa -terra d’Iran- e la consapevolezza che il cambiamento sarebbe stato radicale. L’ultima immagine proiettata è a colori: il profilo di una giovane donna vestita di rosso che guarda lontano mentre fuma una sigaretta.
Rosso come le unghie laccate che illuminano la sagoma di Marjane Satrapi, completamente vestita di nero, seduta sul palco del Teatro Studio dell’Auditorium Parco della Musica, davanti a un vasto pubblico. Reduce dal tour estenuante di presentazione del film in giro per il mondo -fattore determinante per renderla insofferente (più che prudente) nel rilasciare interviste- l’autrice iraniana è una vera bomba di ironia e intelligenza. Non si risparmia nel rispondere al mediatore, Giovanni De Mauro, direttore di “Internazionale”, testata con cui collabora dal 2003.
È vera la storia dell’amato zio Anush, incarcerato ai tempi dello scià e giustiziato dai rivoluzionari. Ma è un capitolo troppo doloroso della sua vita. Quando, invece, le viene chiesto se può tornare nel suo Paese, lei risponde che “sì, posso tornarci. Ma non sono sicura di poter uscire”. Non teme per la sua famiglia che vive lì, perché la paura è un sentimento istintivo. Piuttosto una volta, durante una conferenza in Texas, circondata da yankee in versione cowboy, per un attimo l’ha sfiorata il pensiero che qualcuno di loro avesse anche il cinturone e tirasse fuori la pistola. “Invece quello che mi ha aggredito di più, alla fine ha comprato sette libri e mi ha detto che quello che dico non è poi così stupido”.
“Non faccio rivelazioni”, precisa Marjane. “Descrivo una situazione. Non sono aggressiva, non provoco, non ho problemi con la religione, né con gli uomini”. Ricollocare le cose nel loro contesto, questo è basilare per Satrapi, cercando sempre di vedere la realtà da un punto di vista globale, con uno sguardo che abbracci le varie sfaccettature. Non a caso l’inizio del suo percorso intellettuale è stato proprio Rashômon (1950), il film di Akira Kurosawa, visto all’età di otto anni, che racconta di un omicidio attraverso cinque versioni diverse.
“Non sono a favore di nessuna rivoluzione, credo piuttosto nell’evoluzione”, afferma inquadrando l’attuale situazione in Iran, dove una donna vale la metà di un uomo. “Le donne non possono testimoniare, perché ritenute troppo fragili emotivamente, perciò inattendibili. Eppure il 64% degli studenti sono donne. È un percorso lungo, ma la società iraniana è in cammino e nel tempo si vedranno i risultati. Del resto anche in occidente l’emancipazione femminile è storia recente. Un tempo le donne svenivano, ma nessuno ha mai pensato che fosse a causa di busti troppo stretti imposti dalla moda”.
È coraggiosa? No, piuttosto si considera egoista e individualista. “Le persone coraggiose sono quelle rimaste in Iran”, che portano avanti le loro battaglie quotidiane, magari lavorando in settori come quello legislativo o creativo. In Iran, tra l’altro, il suo film è stato vietato perché il regime non ritiene che racconti la verità. “Hanno tagliato dodici sequenze per ragioni sessuali. Non capisco proprio quali siano…”. Ma se il circuito ufficiale è interdetto, la diffusione di dvd pirata con i sottotitoli in farsi è addirittura incentivata: basta pagare due dollari.
Il lungometraggio parte, dicevamo, dai primi volumi dell’omonimo romanzo a fumetti -pubblicato per la prima volta in Francia tra il 2000 e il 2003- ma è un lavoro a sé. Non è certo uno story board per il cinema. La realizzazione è stata complessa, visto anche il rapporto conflittuale che l’autrice ha con la tecnologia, che definisce “sorella puttana della scienza“. Tant’è che è stato disegnato tutto a mano con il contributo di un centinaio di collaboratori. Proprio come avveniva per i tradizionali cartoon.
Critica, metodica, ma anche caotica e solitaria, Marjane Satrapi sottolinea infine l’importanza del disegno, troppo spesso relegato a un ruolo di secondo piano rispetto alla scrittura, dimenticando che è il primo linguaggio dell’essere umano. “Di solito alle persone piace scrivere oppure disegnare. A noi autori di fumetti piace fare entrambe le cose. Siamo i bisessuali della cultura. Alla gente non importa niente se sei omosessuale o eterosessuale, ma si fa un sacco di problemi se sei bisessuale…”.
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la rubrica in fumo è diretta da gianluca testa
[exibart]