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in fumo_interviste Alessio Spataro
in fumo
Prima di arrivare alla Ministronza è passato da Bertinotte, Papa Nazingher e Berluscotti. Catanese, classe '77, ha studiato fumetto a Milano ed è autore completo. Dopo il ciclone mediatico che l'ha investito, torniamo a parlare di satira con Alessio Spataro...
le necessità, si trasforma anche il suo significato?
Beh, la satira ha sempre un ruolo fondamentale. È capace
di catalizzare sentimenti critici in qualunque contesto storico. Se ancora si
esprime con un minimo di senso, può legittimamente veicolare la rabbia.
Ma le cose cambiano. E la satira sembra sparire.
Perché?
Che non esistano più grandi contenitori satirici collettivi,
sia in tivù sia sulla carta stampata, è evidente. E non poter contare sulla
coralità di voci diverse rappresenta quindi un grave deficit. Così non esiste
più il pubblico. E da parte di testate giornalistiche ed editori viene meno la
volontà culturale di fare satira. Capita anche a chi, in passato, si è mosso e
ha sperimentato in questo settore.
Qualcosa sembra si stia muovendo. Ma ancora non è
abbastanza. I tempi di Cuore sono davvero così lontani?
Vedi, da quando Cuore è sparito dalle edicole ci sono stati svariati
tentativi da parte dei quotidiani di riproporre riviste o allegati satirici.
Non parlo solo del più recente Emme, uscito per L’Unità, o Paparazzin, inserto di Liberazione. Penso anche a Boxer, che fu addirittura censurato dal
Manifesto quando
si azzardò a dire in modo provocatorio che L’Unità andava buttata. Quella era una
critica nei confronti dell’uso (e dell’abuso) del cellophane e dei gadget da
edicola.
Cosa vuoi dire?
Che la satira, quando colpisce un gruppo editoriale amico
o esprime una posizione scomoda, può essere censurata. E quindi si sgretola di
fronte alle scelte prese dai responsabili più impensabili.
Più che di una nuova vita per la satira, sembra si
parli soprattutto dei problemi di comunicazione e relazione con gli editori…
Ci sono editori che preferiscono puntare su un autore
unico. Io, ad esempio, sto collezionando libri monografici satirici. Ma c’è
anche chi si è ritagliato uno spazio sui quotidiani. C’è chi preferisce
raccogliere esperimenti satirici su internet, in blog collettivi, cioè là dove
i costi sono minimi. Quindi, nel complesso, il panorama è molto frastagliato. È
diviso e slegato dal pubblico (e quindi dalla diffusione) di massa. Purtroppo,
poi, ci sono autori singoli che in Italia non riescono a lavorare ed emigrano
all’estero. Soprattutto in Spagna e Francia.
Online, dai Superamici in su, c’è un gran fermento.
Ma non si raggiungerà mai la notorietà di Vauro, ospite in tivù da Santoro. Se
non c’è visibilità, e quindi pubblico, si perde efficacia?
Proprio così. E i quotidiani continuano a non investire in
luoghi collettivi satirici. Si preferisce sempre l’autore singolo. E questo
accade anche per gli editori del settore librario.
Da valutare, poi, gli effetti della satira sui
quotidiani. È allineata al potere? O, meglio, all’editore?
Capita. Capisco anche l’esigenza di un editore. Ma se si
parla di satira e si vuole scommettere su una critica poco consona a regole e
briglie, occorre investire rischiando. Se lo si fa, bisogna andare fino in
fondo. Prima ho citato il caso di Boxer, che ha osato criticare un editore amico. E
abbiamo visto con quali effetti. Il fatto è che il pubblico, negli ultimi dieci
anni, si è disabituato alla satira. Oggi i comici o i satirici sono
sparpagliati e divisi. Ma fino a quando sono esistiti programmi televisivi
corali, il pubblico c’era. Eccome.
Spesso si confondono i ruoli e al comico è attribuita
una funzione politica. In questo contesto qual è il vero obiettivo della
satira? Il potere politico, il quarto potere del mainstream o la satira, più
semplicemente, è una necessità sociale?
Sicuramente, prima di tutto, la satira è la risposta a un
bisogno sociale. È qualcosa che intrinsecamente appartiene all’essere umano. Lo
spirito critico è proprio dell’uomo. Ed è bene non confondere i ruoli. Mai.
Esiste una satira di destra e di sinistra?
Faccio un po’ di fatica a parlare in questi termini di
destra e sinistra. Li ritengo espressioni un po’ vaghe. Ai tempi del Male ero appena nato, ma Cuore l’ho sconosciuto bene. Lì, anche
se c’erano molti autori antifascisti e di sinistra, non si risparmiavano
criticare al Pc e al Pds. D’accordo, era anche satira di partito. Ma
ideologicamente indipendente. Quando Cuore si è staccato da L’Unità, ha trovato la sua fortuna perché
i lettori continuavano a leggerlo. E nonostante questo il Pc, dall’altra parte,
dimostrava di non gradire le critiche a Occhetto. Detto questo, non vorrei si
facesse confusione con la presunta esistenza della satira di destra. Sarò forse
considerato radicale, ma in certi casi non parlerei di satira. Quelle di destra
sono solo cose disegnate che non fanno ridere. Lì non c’è una critica
dell’esistente e del potere, ma solo una specie di caricatura degli uomini
politici visti come appartenenti a bande che si fanno la guerra.
Cosa diversa è Il Vernacoliere, che dedica la sua quarta di
copertina alla satira di destra col Manganelliere…
Quella è una scelta geniale. Si tratta infatti di una
parodia che gioca sulla presunzione che esista una satira di destra. Nel
complesso, proprio per una questione puramente scientifica, non penso possano
fare satira persone che non hanno il pollice opponibile. Poi ci sono state
iniziative editoriali diverse, come Par Condicio. Ma al di là delle firme
eccezionali che hanno preso parte al progetto, beh, ho preferito non farne
parte.
Parliamo di te e della Ministronza. Durante Napoli Comicon sarà
presentato il secondo volume. La critiche hanno facilitato anche il successo
del libro?
Con il primo volume siamo arrivati alla ristampa in poco
più di due mesi. In questo senso è stata sicuramente una fortuna. Ma è poco
importante rispetto alla causa che ha determinato la polemica.
Dopo Bertinotte, Papa Nazingher e Berluscotti, perché è stata proprio la Ministronza ha suscitare così tanta
attenzione e altrettante polemiche?
Si è trattato della sovraesposizione di un fumetto che da
virtuale diventa cartaceo. Ma il problema, in questo caso, è assai subdolo. Si
voleva creare una polemica ad arte anche per rispondere in modo immediato
all’accusa palese di maschilismo rivolta a Berlusconi. Il giornale che ha
deciso di scrivere e pubblicare la prima stroncatura della Ministronza è lo stesso che, qualche giorno
dopo, in un altro articolo ha stabilito che la polemica era chiusa. Si
sosteneva che in Italia esistevano due tipi di maschilismi: quello buono e
cavalleresco di Berlusconi e quello cattivo e volgare di Spataro, motivato da
un presunto odio antifascista vetusto e inattuale.
Oltre al fatto di essere stato messo direttamente a
confronto con Berlusconi, cosa ti resta di tutta questa bagarre mediatica?
Mi sono trovato a gestire una polemica più grande di me.
Ma anche più grande di tutte le piccole persone che l’hanno utilizzata per
farsi pubblicità come vittime. In particolar modo penso a Giorgia Meloni: già
due anni fa, quando uscirono le prime pagine satiriche, in più situazioni si
dimostrava superiore. Non si esprimeva pubblicamente. Ma addirittura si faceva
fare domande ad hoc dai giornalisti… Insomma, alla fine sono stato tirato in
ballo. Avrei preferito di gran lunga rimanere nella mia nicchia, col pubblico
da fumetteria e libreria.
I politici si sono poi espressi con una condanna
bipartisan. Un fatto assai raro, non trovi?
Guarda, è capitato spesso che questa classe politica si
sia ritrovata a votare all’unanimità cose aberranti. Compresi i finanziamenti
alla guerra in Afghanistan. Quindi non mi sorprende che gruppi parlamentari di
colori differenti si siano trovati d’accordo nella condanna. Dal mio punto di
vista non esiste tutta questa diversità. Li vedo piuttosto omologati sulle
varie sfumature del marrone.
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a cura di gianluca
testa
[exibart]
Questo è un vero autore.