Categorie: in fumo

in fumo_interviste | Charles Burns

di - 8 Aprile 2009
Una curiosità: considerato che alla tua mostra in Pinacoteca, a Bologna, ci sono anche alcuni dei disegni fatti da bambino, che non sono esattamente spensierati e lieti, che cosa leggevi durante la tua infanzia per poter avere già in mente idee così terrificanti?
La mia è stata un’infanzia normale, come quella di tanti altri bambini. Ero curioso, quello sì, ed ero attirato da tutto ciò che poteva sembrarmi interessante. Guardavo diversi programmi televisivi, come tutti i bambini della mia età. Non so perché ero veramente attirato e spinto a disegnare quello che è esposto.

Fra i tuoi primi disegni, c’è una mano che cammina. Ho pensato che la famiglia Addams fosse stata fonte d’ispirazione…
Come tutti i ragazzini, ero attirato tra le varie cose da letture su personaggi sovrannaturali e mostri. Allora, negli States andava di moda mandare settimanalmente in tv serie televisive proprio sui mostri, così come al cinema imperversavano gli alieni. Ero un grande appassionato del genere. Probabilmente quelle immagini mi hanno colpito, così come quelle umoristiche della Famiglia Addams.

Pensi di aver avuto un’infanzia “regolare”. Sai, si dice che gli artisti che hanno il pallino per gli squartamenti e per il sangue molto probabilmente hanno avuto dei traumi infantili e attraverso le loro opere vogliono trovare una via di guarigione. È il tuo caso?
Vedi, è tutto relativo. Non penso proprio sia il mio caso. Non ci sono episodi nella mia vita che potrebbero stupire particolarmente.

Parliamo ora dell’adolescenza, fase della vita che sembra ricorrere in quasi tutte le tue opere. Credi di esser stato influenzato da registi come Romero o Lynch?
Ho visto Eraser Head da ragazzo. Ricordo ancora quand’ero a San Francisco, seguivo la moda punk. Andai al cinema con la mia ragazza di allora. Rimasi folgorato da quel film. Lynch mi ha certamente colpito e influenzato. Ma non solo lui.

E Blue Velvet? Il film apre con un’inquadratura sul bosco buio per poi zoomare su un orecchio mozzo abbandonato sul prato. Il tuo focalizzare spesso sulle ferite, sulla pelle tagliata, beh, è lynchiano…
Non esclusivamente. Da ragazzo leggevo libri di storia, d’antichità. E sfogliavo libri di storia dell’arte che mi hanno colpito altrettanto e che ho trovato terrificanti; arriverei a dire che li ho trovati anche più terrificanti delle immagini di Lynch. Tin Tin è un altro personaggio dei fumetti che mi ha mosso qualcosa dentro. È un ragazzo ben inquadrato nella sua vita. La sua caratterizzazione è molto ben delineata e questo mi ha aiutato nel fare altrettanto con i miei personaggi.

Che pensi della Body Art? La nostra Gina Pane, negli anni ‘70, si tagliava la pelle e si mostrava all’obiettivo della macchina fotografica… E Orlan? Ha scelto di sottoporsi alla chirurgia plastica in diretta per diventare lei stessa un’opera d’arte…
Le mie immagini sono simboliche, iconiche, non necessariamente legate a un fine estetico. Non sono interessato alla chirurgia estetica o alla Body Art in sé. Il mio intento è unicamente trattare metaforicamente una fase difficile della vita come l’adolescenza; questo accade in Black Hole, per esempio.

Che effetto intendi ottenere con i tuoi fumetti? Leggendo Black Hole ti confesso che non ero proprio rilassata: alcune immagini sono inquietanti…
Non è la cosa a cui penso quando creo i miei fumetti. Ci sono alcuni episodi molto violenti in Black Hole. Ma non erano realmente voluti. Io sono sostanzialmente interessato alla storia, all’intreccio. Non penso affatto all’effetto che potrei ottenere sui miei lettori.

C’è ironia? Per esempio, in Big Boy, questo ragazzone amante dei fumetti e sempre alla ricerca del lato altro della vita è piuttosto buffo…
Sì, è vero. Questo capitava soprattutto nelle mie prime opere; poi, con il tempo, ho imparato a essere guidato dai personaggi, dalla loro psicologia. E la cosa si è fatta piuttosto seria. In Black Hole mi sono trovato a trattare esperienze drammatiche indirettamente vissute. Le ho attribuite ai miei personaggi. Ho pensato al boom dell’Aids dagli anni ‘80, ma soprattutto all’adolescenza come malattia inevitabile, come metafora della trasformazione fisica e sessuale dell’uomo e della donna. Un’esperienza traumatizzante che tutti condividiamo e che possiamo comprendere.

Le tue graphic novel sono “pornografiche”. Nel senso che il corpo non è necessariamente esposto nudo con malizia, ma esposto come su un tavolo operatorio. Aperto completamente. Le viscere vengono offerte all’osservatore senza veli e l’effetto che si ottiene è scioccante…
È vero. Comunque questo mettere in mostra in modo così spudorato lo puoi interpretare come iconico, ancora una volta. Prendiamo l’apertura: una rana viene sezionata dagli alunni. È sicuramente una situazione tipica che si vive a scuola (negli Stati Uniti si praticano sempre dissezioni di animali nel corso della lezione di biologia). Io l’ho voluta inserire nella storia proprio all’inizio, quasi a evocare gli antichi quando usavano tagliare le viscere degli animali per leggere il futuro. Qui le viscere della rana sono esposte agli occhi dei ragazzi per mostrare loro cosa li aspetta. In pratica, la rana racchiude in sé il proseguo della storia. È iconica, in questo senso. Le ferite e i tagli mostrano quello che c’è oltre, come anche le parti del corpo animale. Per esempio, la ragazza con la coda, sempre in Black Hole. Il ragazzo nutre per lei un’idea romantica di amore, poi appena la scorge nuda e vede la sua coda è scioccato. Ma allo stesso tempo fortemente attratto sessualmente. Sono molto attirato da questa bipolarità dell’animo umano. L’orrido che a volte ci attrae quasi più del bello.

Cosa mi dici del tuo primo esperimento cinematografico con Paura del Nero?

Si tratta giustamente di un esperimento. Mi sono trovato nella possibilità di collaborare con altri fumettisti. Non pensavo di fare un film con i miei fumetti come ora fanno in molti (per esempio il film di animazione Valzer con Bashir). Semplicemente i produttori hanno chiesto una nostra idea personale sul tema del nero e ognuno di noi l’ha offerta. Per tutti noi è stata una situazione molto inusuale, ma anche interessante e stimolante.

Mi piacciono le ombre così cupe che rappresenti, sembrano i denti di un coltello…
Le ombre fatte in questa maniera vengono da una tradizione americana che a me piace molto. Trovo che aumentino fortemente l’effetto drammatico. Anche i miei boschi sono molto scuri. C’è un passaggio in cui si vede la spiaggia e il bosco. Il contrasto è estremo e l’effetto mi emoziona.

Progetti per il futuro?
In mostra ho portato alcune strisce. Ho deciso di provare il colore. So bene che ridurrà l’effetto drammatico che ha il bianco e nero, ma renderà sicuramente molto più intensa la storia.

a cura di alessandra cavazzi

la rubrica in fumo è diretta da gianluca testa


dal 6 marzo al 3 maggio 2009
Charles Burns
Piancoteca Nazionale
Via delle Belle Arti, 56 – 40126 Bologna
Orario: da martedì a domenica ore 10-19
Ingresso libero
Catalogo Coconino Press
Info: www.bilbolbul.net

[exibart]

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