Cosa potrebbe mai accomunare Totò e Domenico Modugno, Zanardi e Pompeo? L’alchimia del tratto di
Andrea Pazienza (San Benedetto del Tronto, Ascoli Piceno, 1956 – Montepulciano, Siena, 1988) celebrato a Napoli, nella retrospettiva allestita a Castel Sant’Elmo nell’ambito di
VisioNa 2008. Semplicemente inimitabile, Paz seppe rinnovare il linguaggio fumettistico e tradurre sogni, visioni e incubi del proprio tempo, coniugando in modo assolutamente originale letteratura e arti visive.
“
Per fare il fumetto bisogna partire dal segno”. E per Pazienza il segno era “
metafora meravigliosa”, indomabile impulso vitale, energia allo stato puro. Con esso, quasi fosse la lente di un obiettivo, riuscì a fotografare alla perfezione la società e il clima di un’epoca complessa e in fermento. Lasciando tracce indelebili. Come non ricordare i personaggi nati dal tratto geniale del suo pennarello? Pert capo partigiano ispirato al Presidente Sandro Pertini e il “luogosergente” Paz, ispirato a se stesso. Zanardi, il cattivo per eccellenza, Pentothal e Pompeo con la sua carica di poesia, inquietudine e dolore.
Nella sua breve ma intensissima vita, vissuta forse sempre a limite, “perché la pazienza ha un limite, Pazienza no”, Paz seppe raccontarsi con estrema naturalezza: la forza espressiva della sua arte sta nella possibilità di rintracciare in essa poesia e malinconia, dolore e cinismo, semplicità e bellezza.
Da grande affabulatore d’immagini scritte e disegnate, nel vasto
corpus di opere in mostra è possibile ripercorrere gli esordi bolognesi degli anni ‘70 e gli anni della maturità, scorrendo le immagini del suo meraviglioso
bestiario, le favole ideate per il piccolo Lorenzo Paganelli, l’agenda di Legambiente, la campagna pubblicitaria per Benetton a firma Maripaz, pseudonimo del sodalizio artistico con la moglie
Marina Comandini. E, ancora, le copertine di riviste storiche, dei dischi, dei manifesti cinematografici.
Oltre le accattivanti strisce a fumetti, s’intuisce il suo amore per la pittura; il suo modo di utilizzare il colore e concepire gli spazi, il gioco di luci e ombre dei suoi chiaroscuri nascevano dall’ammirazione per
Caravaggio,
Rembrandt e
Canaletto.
Impossibile non soffermarsi su alcuni inediti (
Sfondi di figure di donne, 1986;
Marina nudo, 1986), che rivelano un erotismo delicato.
Un capitolo a parte merita la sezione
Tracce di Napoli, che individua i riferimenti alla napoletanità in tanti oggetti e disegni di Paz: dallo Zanardi Pulcinella (1986, editori del Grifo), logo dell’evento, ai piatti disegnati per il ristorante Lo scoglio di Baia. Pur non avendo mai vissuto a Napoli, Pazienza ne subì il fascino e ne seppe catturare l’essenza. La città del Vulcano ispirò straordinari disegni,
in primis le vignette dedicate a
La Livella, che si aggiudicano a ragione il posto d’onore nel corridoio centrale. Oltre un muro, dove si legge uno dei suoi
calembour linguistici in dialetto napoletano, coglie di sorpresa l’installazione con le tombe del nobile marchese e del netturbino; tra esse, in un gioco oleografico, scorrono le vignette di Paz e in sottofondo la voce del Principe.