Capita quindi che una compagnia come la Pixar nasca con
l’obiettivo di sviluppare il digital video attraverso software e hardware
all’avanguardia. Era il 1986. E il papà di Apple, Steve Jobs, acquistò e rese
indipendente quella costola della LucasFilm per soli 10 milioni di dollari.
Visto che trovare finanziamenti per la ricerca era cosa assai difficile, la
Pixar mise a frutto le proprie competenze specializzandosi nell’animazione
digitale e cominciò a lavorare per Disney. Il successo dei prodotti fu
immediato e straordinario. L’accordo fra le parti prevedeva però la divisione
dei costi e, ovviamente, anche dei profitti. Quando al rinnovo del contratto
Jobs alzò la posta, il rapporto di odi et amo si trasformò in conflitto: Cars avrebbe dovuto essere l’ultimo
film realizzato dalle due compagnie. Poi ognuno per la sua strada. Mentre gli
interessi economici continuavano a scaldare gli appetiti di entrambi, la Disney
realizzò produzioni autonome poco degne di nota. Alla fine, ecco il matrimonio
di convenienza: la Disney acquista la Pixar nel 2006 sborsando 7,4 miliardi di
dollari. Quei 10 milioni pagati anni prima da Jobs, che entra anche nel Cda
dell’azienda, sembrano ora noccioline. Se poi si pensa che, solo tre anni dopo,
la Disney ha tirato fuori altri quattrini per acquistare la Marvel, si capisce
quando certe scelte lungimiranti siano a esclusivo appannaggio di quei pochi
che hanno soldi da spendere.
Ad anni luce di distanza, e con cifre nient’affatto
paragonabili, si celebra un altro matrimonio. Stravolta l’amore c’è. E con lui
anche la passione, il rispetto e perfino il coraggio. La Coconino Press, che da
quando ha fatto il suo ingresso nel mondo dell’editoria a fumetti (2000) ha
proposto opere straordinarie e valorizzato il fumetto d’autore, si è unita alla
Fandango. Domenico Procacci è diventato socio di maggioranza della casa
editrice bolognese. Farà il “padrone”? Assolutamente no. La
conduzione resterà in mano alla famiglia Barbieri, mentre Igort farà ancora il suo lavoro
dirigendo la Coconino e continuando a compiere quelle scelte editoriali che
finora si sono rivelate più che azzeccate. Un’alleanza ben poco convenzionale,
che unisce le due realtà sul piano culturale e che crea sinergie eccellenti per
la costruzione di nuove espressioni globali del linguaggio. Tradotto, il
fumetto, il cinema e la musica potrebbero contaminarsi e fondersi in prodotti
reciproci. Che lo scrittore e sceneggiatore Sandro Veronesi (scuderia Fandango) abbia già
tessuto rapporti con Igort è cosa nota. E se è vero che Procacci avrebbe
previsto per l’opera del fu Andrea Pazienza – sta proponendo sul mercato, con
grande stile, dei volumi a lui dedicati – un futuro sul grande schermo, è
altrettanto vero che autori come Gipi hanno già un’impostazione cinematografica sia nella
scrittura sia nel segno e nelle inquadrature delle loro graphic novel. Non resta che seguire la loro naturale
evoluzione.
Restando nel settore dell’editoria, la notizia del
matrimonio più recente è quella che sembrerebbe legare Bonelli e Panini. Quello
che è stato sensazionalmente annunciato come un accordo che affida a Panini
“lo sviluppo internazionale delle licenze editoriali su Tex, Dylan Dog
e degli altri personaggi della scuderia dell’editore milanese, nell’ottica di
una crescente espansione del fumetto italiano e dei suoi autori e personaggi
nel mondo“,
beh, è in realtà una semplice gestione di servizio. “La Panini, nei fatti,
proseguirà il lavoro svolto all’estero dal nostro agente, con cui sono cessati
i rapporti. Si occuperà quindi delle licenze e dei diritti d’autore al di là
del confine italiano”, spiega Sergio Bonelli. Lui, uomo garbato e gentile, ha sempre una
parola buona da spendere. E nel comicdom italiano, un po’ caciarone e arrogante, Bonelli è
una perla rara. “Dedicare tempo e risorse interne alle produzioni estere è
sempre più difficile.
a loro questo servizio. Perché, appunto, di un ‘servizio’ si tratta. Le
collaborazioni sono un’altra cosa. Nel nostro caso è come cambiare
assicurazione alla scadenza della polizza…”. Un tempo era lo stesso Sergio
Bonelli a curare i diritti all’estero. “Con la mia valigia viaggiavo in
Spagna, Finlandia, Brasile. Ma erano altri tempi. Venticinque anni fa, in
Francia, compravano i nostri prodotti a scatola chiusa. Ora amano i cartonati.
E i fumetti all’italiana, i ‘petit format’ in bianco e nero, non si vendono
più”.
Eppure, nonostante il tentativo di esportare Dylan Dog sia
naufragato più volte, Tex continua a essere apprezzato ovunque. Dov’è più
amato? “Ad esempio in Brasile”, risponde Bonelli. “Ma anche in Turchia,
nei paesi dell’ex Jugoslavia e in Finlandia. Si tratta comunque di numeri molto
diversi da quelli italiani. Sono lontani gli anni in cui Tex, in Francia,
vendeva centomila copie”. Passi infine la difficoltà di gestire in proprio i
diritti all’estero. Ma perché non investire di più fuori dall’Italia? “Nelle
produzione abbiamo sempre pensato prima al lettore italiano, ai suoi gusti, al
mercato nazionale. Altrove abbiamo sempre faticato. Quali sono oggi le mie
ambizioni? Vede, per me che ho vissuto il momento magico del fumetto italiano,
in questa fase è difficile credere in un miglioramento”.
www.coconinopress.com
www.fandango.it
www.sergiobonellieditore.it
gianluca testa
*articolo pubblicato su
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[exibart]
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