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in fumo_personaggi Il Monicelli fumettaro
in fumo
Da un suo soggetto che non è mai diventato film è stato creato un fumetto, che ora poteva diventare anche un cartoon. E pensare che Mario Monicelli, appena suicidatosi, voleva fare il fumettaro...
voluto anticipare il suo momento evitando inutili sofferenze. Così ha bruciato
la morte sul tempo con l’ultima zingarata. Una supercazzola teatrale
dove dramma e commedia s’incrociano in una miscela di sentimenti poco
definibili. Il grande regista Mario Monicelli, che non ha mai amato
farsi chiamare “Maestro”, ha messo in scena l’ultimo atto di una vita
trascorsa a raccontare l’Italia d’ogni tempo gettandosi dal quinto piano
dell’ospedale San Giovanni di Roma.
Al di là della sua lunghissima
produzione cinematografica, forse non tutti sanno che Mario Monicelli, superati
i novant’anni, si era avvicinato al fumetto. E che un paio di anni fa ha
perfino partecipato a Lucca Comics &
Games. Ma perché Monicelli arrivò a Lucca? Fu lui stesso a spiegarlo in
quel mai troppo lontano 2008: “Dai un mio soggetto scritto nella metà
degli anni ‘70, mai realizzato al cinema, un intellettuale e grande disegnatore
come Massimo Bonfatti,
leggendolo, ha deciso di farne una storia a fumetti. Quindi siamo venuti qui a
presentare il libro. Lui ha ringraziato me e io ringrazio lui”.
Il libro in questione è Capelli
lunghi, che Monicelli racconta così: “Parla dei primi
industrialotti italiani desiderosi di assomigliare ai grandi imprenditori
d’oltreoceano. Cominciano così a storcere la bocca e ad essere più esigenti con
gli operai delle loro piccole fabbriche. E se c’erano operai coi capelli
lunghi, molto di moda in quegli anni, li obbligavano a tagliarseli con dei
ricatti. Per contestare il fenomeno scrissi questo soggetto abbastanza equilibrato
in cui poi accadono fatti anche molto gravi”.
Gli autori – insieme a Bonfatti c’è anche il giornalista Franco Giubilei, che ha contribuito
alla scrittura – pensavano di farne anche un cartone animato. Lo scrive il
disegnatore sul proprio sito: “Lui mi lasciava fare come un nonno
lascia fare il nipotino fastidioso. Io avrei voluto coinvolgerlo, come regista,
supervisore o semplicemente voce narrante”, racconta Bonfatti. “Era recalcitrante, non voleva
rimettersi al lavoro a causa della debolezza e della vista sempre più fioca.
Eppure lo divertiva l’idea che un fumettaro portasse avanti una sua idea, al
punto di siglare un accordo tra di noi. Ho sempre avuto la fiducia di riuscire
a convincerlo, prima o poi, e il documentario che stavamo preparando era anche
finalizzato a questo. Ora cambia tutto, ma non tutto si fermerà. Le idee, i
progetti, i sentimenti che si esprimono con le opere dell’intelletto continuano
a germogliare, a dare frutti e a seminare. Mario era un uomo fecondo, e di
buona qualità. Per questo una parte di sé rimarrà con noi”. Una parte
del materiale girato dal gruppo Officine Tolau per il documentario su Capelli
lunghi è stato pubblicato in queste ore su YouTube. Questo, ahinoi, è il
presente.
In passato, sempre a Lucca,
sempre nel 2008, a Monicelli fu chiesto anche quale fosse il suo rapporto col
fumetto. Inizialmente la risposta fu laconica: “Nessuno”, disse il regista. “Questa
che mi è capitata alla fine della vita è davvero la prima esperienza. Merito di
questo bravissimo disegnatore, Bonfatti, che avendo letto questa idea ha poi
voluto realizzarla a fumetti”. Del rapporto tra cinema e fumetto, però,
aveva un’opinione positiva: “Il fumetto è pur sempre rappresentato da
immagini in sequenza, proprio come al cinema. Però non sono in movimento.
Raccontano storie e personaggi bellissimi. Se poi un autore ha pure un bel
tratto, beh, sono bellissime da vedere”. A questo punto, per
Monicelli, è come se si fosse spalancata una finestra sull’inconscio: “Vorrei
essere stato un fumettaro invece di un cinematografaro. Ma non sono più in
tempo”, disse.
Ora Mario Monicelli non c’è più.
“Se n’è andato”,
scrive Bonfatti. “Ha spiccato il volo verso un’altra dimensione, è l’ha
fatto nel modo per lui più dignitoso possibile, mantenendo stretto il suo amore
per la vita e la sua profonda umanità. Il suicidio è l’estrema scelta del
libero arbitrio, ciò che ci rende umani. La notizia mi ha rattristato ma non mi
ha amareggiato, mi dispiace sapere che non potrò più vederlo e sentirlo, ma
sarebbe stato più penoso vederlo privato della sua dignità, della sua libertà,
delle sue stesse idee”. Massimo sceglie di scrivere per fargli sapere
che gli voleva bene, che tanti gli volevano bene. “Non solo perché
tramite la sua opera e le sue parole abbiamo assaporato un esempio di libertà
di pensiero, di coraggio nell’esprimerlo e di umana simpatia. Ma anche perché
le persone come lui danno tanto a tutti gli altri ed è giusto esserne
grati”.
La
morte di Monicelli
[exibart]