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06
febbraio 2008
in fumo_recensioni DMZ
in fumo
In un futuro prossimo si combatte una sanguinosa guerra fratricida negli Stati Uniti d’America. Campo di battaglia: la Grande Mela con lo skyline della sua isola più famosa. Benvenuti nella DeMilitarized Zone creata dall’inedito duo Vertigo: Brian Wood e Riccardo Burchielli...
Il rumore dell’elicottero turba il silenzio irreale; colonne di fumo si levano lontane, in mezzo agli edifici. Il soldato si avvicina al ragazzo seduto lì accanto: “Hai già ricevuto le istruzioni? Ascolta… stammi sempre vicino. Manhattan è a puttane. È una terra di nessuno. Sai, uno di quei posti dove devi sempre avere un occhio che guarda in alto. Inoltre in città non c’è un cazzo di sicurezza pubblica se non quella che organizzano da loro i locali. Non dare niente per scontato”. Poi lo schianto nella zona del Lower East Side e la morte dei componenti dell’equipaggio. Pochi minuti e la vita dell’unico sopravvissuto cambia definitivamente. “Benvenuto nell’incubo!” sembrano dire le fiamme che si alzano dalla carcassa dell’unico mezzo per uscire da quell’angolo dimenticato.
Matty Roth è solo uno stagista, un fotoreporter al primo incarico sul campo: seguire una troupe, capeggiata dal premio Pulitzer, nell’area più calda del pianeta, per raccontare qual è la vita laggiù, in quel ghetto conosciuto come DMZ. Sì, perché siamo in piena guerra civile, la Seconda guerra civile americana. Da un lato, i governativi con la loro tracotanza da primi della classe a West Point. Dall’altro, i membri dei Free States, bifolchi del Montana e di altri Stati del profondo Midwest a stelle e strisce, che via via si sono associati al movimento. Per i media governativi, solo e unicamente assassini feroci e folli terroristi.
In mezzo a tutto questo, una striscia di terra, la DMZ, la Manhattan dei bei tempi andati. E Matty è lì, solo, senza armi né conoscenza del terreno e di ciò che può insinuare a ogni angolo dei boulevard scavati dai bossoli e dalle detonazioni. Salvato in extremis da Zee, studentessa di medicina dall’appeal sensuale, il giovane fotografo inizia il suo viaggio all’interno delle viscere di una città sotto assedio. Una città che ha conservato le sue sfumature di villaggio globale, creando un microcosmo incredibile e dalle mille sfaccettature, dove la vita pulsa sotto la coltre di macerie lasciate dai bombardamenti e per le strade battute dal fuoco dei cecchini. Una vita che si compone di stenti, morte e mutilazioni contrapposti alla voglia di ricostruire e sopravvivere in mezzo a due “stati” che hanno preferito dimenticare cosa realmente avvenga al centro della Grande Mela, riducendo questa zona al livello di un lazzaretto per i rifiuti della guerra in corso. “Perché non fai vedere cosa realmente succede qui?”, chiede Zee al ragazzo. “Hai una macchina fotografica e del materiale per comunicare con te. E tu vuoi raccontare per vivere. Racconta Matty. Racconta qual è la nostra vita”.
Una narrazione veloce, essenziale come il respiro di chi è teso e non sa cosa succederà a ogni passo, visivamente stupendo e realistico, DMZ, primo lavoro seriale del tandem italo-americano composto da Brian Wood e Riccardo Burchielli, è un gioiello che brilla di luce propria. Per immaginare questo conflitto, Wood ha saputo mischiare visioni e realtà come “l’assedio di Fallujah, i profughi dell’uragano Katrina, screenshot dal capolavoro di John Carpenter, ‘1997, Fuga da New York’ e l’odore di gomma bruciata che pervadeva l’aria di Ground Zero dopo l’11 settembre”.
Questo è DMZ: il senso d’impotenza e voglia di aiutare che investe chiunque si trovi in una realtà irreale come quella della guerra. Uno sforzo profondo che conduce un essere umano al bisogno di dare un proprio supporto a una situazione disperata. DMZ non parla di grandi battaglie né di scontri all’ultimo sangue: è una linea che divide la vita dalla morte, le piccole esistenze dai grandi avvenimenti, avvenimenti troppo grandi per poter esser compresi da chi è rimasto nella terra dei dimenticati e vuole solo sopravvivere.
Matty Roth è solo uno stagista, un fotoreporter al primo incarico sul campo: seguire una troupe, capeggiata dal premio Pulitzer, nell’area più calda del pianeta, per raccontare qual è la vita laggiù, in quel ghetto conosciuto come DMZ. Sì, perché siamo in piena guerra civile, la Seconda guerra civile americana. Da un lato, i governativi con la loro tracotanza da primi della classe a West Point. Dall’altro, i membri dei Free States, bifolchi del Montana e di altri Stati del profondo Midwest a stelle e strisce, che via via si sono associati al movimento. Per i media governativi, solo e unicamente assassini feroci e folli terroristi.
In mezzo a tutto questo, una striscia di terra, la DMZ, la Manhattan dei bei tempi andati. E Matty è lì, solo, senza armi né conoscenza del terreno e di ciò che può insinuare a ogni angolo dei boulevard scavati dai bossoli e dalle detonazioni. Salvato in extremis da Zee, studentessa di medicina dall’appeal sensuale, il giovane fotografo inizia il suo viaggio all’interno delle viscere di una città sotto assedio. Una città che ha conservato le sue sfumature di villaggio globale, creando un microcosmo incredibile e dalle mille sfaccettature, dove la vita pulsa sotto la coltre di macerie lasciate dai bombardamenti e per le strade battute dal fuoco dei cecchini. Una vita che si compone di stenti, morte e mutilazioni contrapposti alla voglia di ricostruire e sopravvivere in mezzo a due “stati” che hanno preferito dimenticare cosa realmente avvenga al centro della Grande Mela, riducendo questa zona al livello di un lazzaretto per i rifiuti della guerra in corso. “Perché non fai vedere cosa realmente succede qui?”, chiede Zee al ragazzo. “Hai una macchina fotografica e del materiale per comunicare con te. E tu vuoi raccontare per vivere. Racconta Matty. Racconta qual è la nostra vita”.
Una narrazione veloce, essenziale come il respiro di chi è teso e non sa cosa succederà a ogni passo, visivamente stupendo e realistico, DMZ, primo lavoro seriale del tandem italo-americano composto da Brian Wood e Riccardo Burchielli, è un gioiello che brilla di luce propria. Per immaginare questo conflitto, Wood ha saputo mischiare visioni e realtà come “l’assedio di Fallujah, i profughi dell’uragano Katrina, screenshot dal capolavoro di John Carpenter, ‘1997, Fuga da New York’ e l’odore di gomma bruciata che pervadeva l’aria di Ground Zero dopo l’11 settembre”.
Questo è DMZ: il senso d’impotenza e voglia di aiutare che investe chiunque si trovi in una realtà irreale come quella della guerra. Uno sforzo profondo che conduce un essere umano al bisogno di dare un proprio supporto a una situazione disperata. DMZ non parla di grandi battaglie né di scontri all’ultimo sangue: è una linea che divide la vita dalla morte, le piccole esistenze dai grandi avvenimenti, avvenimenti troppo grandi per poter esser compresi da chi è rimasto nella terra dei dimenticati e vuole solo sopravvivere.
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Riccardo Burchielli
Brian Wood
matteo benedetti
la rubrica in fumo è diretta da gianluca testa
Brian Wood e Riccardo Burchielli – DMZ #01 (Sulla terra)
Planeta De Agostini Cómics, Barcelona 2007
Pagg. 128, ill. col., € 10,95
Info: www.planetadeagostinicomics.it
[exibart]