Un ragazzo si versa una tazza di caffè e si accomoda sulla terrazza che affaccia sulla metropoli. La studia per un istante e getta nel vuoto un calzino sporco. Sogghigna e si sente il re della metropoli. Un cantante punk con un attico nel centro di Vancouver: qualcosa non torna. Eppure, ecco a voi
Heavy Parker. Ricco, desiderato, pieno di amici (chi non ne avrebbe dando una festa ogni sera e offrendo sempre ogni cosa?), sbruffone e presuntuoso. Eroe di una società dove i controsensi si sprecano. La sua passione, oltre la musica hardcore? Le teenager. Da buon defloratore di giovani vergini, gioca a fare il poeta underground per “
mettere a segno il colpo” e fuggire, immediatamente dopo, tra le braccia di un’altra preda. Una vita facile, quindi, per questo ricco immaturo che veste i comodi panni di un dannato con le spalle coperte.
Almeno fino a quando non sottovaluta l’amore della sua ultima conquista, Missy.
Piccola, dolce e devota, in lacrime all’aeroporto nel momento in cui al gate l’attende il passaggio per il college newyorkese, rivela il suo amore a un Heavy momentaneamente spiazzato. E quando l’aereo si stacca dalla pista, il
punker si sofferma a pensare se sia possibile o meno che lui riesca a condividere qualcosa che sfiori, seppur leggermente, il concetto di relazione sentimentale. Inutile pensiero che ha l’effimero sapore di una momentanea débâcle. Perché, poco dopo, eccolo di nuovo tra le braccia di un’altra vittima, noncurante che la “bambolina”, venuta a conoscenza del suo stile con il gentil sesso, tornerà dalla Grande Mela per vendicarsi.
Heavy non può risultare antipatico: è il classico tipo che tutti abbiamo conosciuto, invidiato, stimato e, alla fine, desiderato sgozzare. Sbruffone e saccente quanto basta per imporre la sua superiorità su un nucleo ristretto di conoscenti o simil-seguaci, si porta dietro uno charme da rivoluzionario e ribelle che solo certi ambienti sanno regalare. E l’ambiente in questione è la scena underground della sua città: sudore, rumore, feste fino al collasso e divertimento. Poco importa se queste si tengano in magazzini cadenti, locali sudici o ambienti di classe: la prerogativa di Heavy è vivere al massimo.
È il re del punk a tre accordi e niente lo può fermare. Con la sua irriverenza e il suo teppismo strappa sorrisi fuori luogo, ma non si può non amarlo nelle sue continue carognate. Perché Heavy è il nostro lato mentale che desidera lo sballo con lieto fine.
Una storia comica, semplice ed essenziale, non un viaggio profondo sul senso della vita. Uno scatto di giorni che ci appartengono o che avremmo voluto sentir nostri. Molto adolescenziale e, al tempo stesso, surreale,
Pounded cattura l’occhio: è rumoroso quanto un buon giro di batteria accompagnato da un basso pulsante e finisce nell’arco di un riff distorto.
Tecnica di rappresentazione? Quella del cuore
alternative di
Steve Rolston, con il suo tratto immediato e lineare che non tralascia ricostruzioni perfette e incredibilmente realistiche della
sua Vancouver. Dove i personaggi, usciti direttamente da un graffito desaturato, si muovono e vivono. Il tutto è arrangiato sulle
liriche di un
Brian Wood divertito, divertente e irriverente. Ecco cosa lascia questo piccolo gioco: buon umore. E con il suo inizio e la sua fine casuale, il duo riesce a racchiudere un frammento di pellicola, nitida fotografia di un’esistenza “invidiabile”.