Un percorso di involuzione tragica attende Emilio, ex-direttore di banca, relegato dal figlio in una casa di cura per anziani a seguito di manifestazioni comportamentali vicine alla demenza senile. “
Cos’hai?”, gli chiede il suo compagno di stanza, Michele. “
Quale malattia ti ha portato qui?”. “
Nessuna”, risponde Emilio, “
sono solo un ospite momentaneo in questo ospizio. Mio figlio non poteva occuparsi di me in questo periodo”.
Michele annuisce e diventa la sua guida nella vita quotidiana all’interno del rifugio: il duo attraversa i padiglioni della struttura dove i momenti della giornata sono scanditi con ossessiva precisione e un senso incombente di squallore. La colazione, il pranzo, la cena, le medicine, gli svaghi (un unico televisore perennemente sintonizzato su un canale che nessuno guarda), i pazienti e il “piano di sopra”, la zona dove il calvario trova il suo apice e dove stazionano i degenti più bisognosi di cure. Una carrellata di nomi, istanti, luoghi e vite che lascia Emilio stupito: ogni elemento ospite ha un male peculiare, un proprio dolore e una storia da raccontare.
Emilio s’inserisce così in un gruppo di anziani, diventandone amico e scoprendo i loro piccoli frammenti esistenziali. Da Giovanni, ex conduttore radiofonico, che ripete al modo di un pappagallo tutto ciò che gli altri dicono, alla signora Sole, ossessionata dal bisogno di chiamare i familiari e, al tempo stesso, condannata a dimenticare questa necessità nel percorso che la conduce alla cornetta. D
alla signora Rosaria, perennemente seduta accanto ai vetri di una finestra con la ferma convinzione di essere ringiovanita nel suo splendore e a bordo di un vagone dell’Orient-Express, a Dolores che accudisce grazie alla forza di un amore profondo suo marito Modesto, gravemente ammalato di Alzheimer, a Renato, che non riesce più a camminare ma vive nel ricordo del suo glorioso passato di atleta, e Carmelina, spaventata da un possibile rapimento a opera degli alieni. Con questi compagni di sventura Emilio si appresta a spendere il suo “momentaneo” tempo all’interno dell’ospizio fino a quando l’orrore dell’Alzheimer si pone dinnanzi a lui senza possibilità di fuga.
Rughe è un viaggio in un mondo non visto, sconosciuto nella sua completezza all’opinione comune e forse schivato per paura e angoscia. La casa di riposo, ultima meta prima di un nulla consegnato dalla morte o da una malattia degradante, è un contenitore di piccole esistenze che non vogliono rinunciare alla vita. Consci o non consci del loro involversi, i pazienti diventano l’allegoria dell’umanità che, sebbene senta l’approssimarsi della fine, continua a respirare la bellezza dell’essere.
C’è poesia e leggerezza nel torpore di questo viaggio cupo e triste e i testi di
Paco Roca raffigurano con bravura unica ogni piccolo segmento del percorso, unendolo a un tratto realista ed estremamente gradevole. Gli anziani di questo microcosmo sono metafore grafiche del tempo vissuto e dell’esperienza acquisita. Sono scrigni di ricordi perfetti e affetti in attesa di esser abbracciati. Sono anziani in mezzo a un cammino prossimo al termine, fiaccati da un dolore che debilita il fisico e la mente ma mai il vigore del loro animo. Sono l’affetto e il sentimento di un autore spagnolo nei confronti di un’età troppo spesso dimenticata.