Un progetto che sembra fatto apposta per riposare e, perché no, divertire gli occhi stanchi dalle scorpacciate di riviste del clima fieristico appena trascorso e di quello biennaliero di là da venire. L’editoria d’arte contemporanea straripa di pubblicazioni valide o scarse di contenuti, lucido-patinate o di carta opaca, freepress iper-distribuite o proibitive rarità, tutte accomunate da un solo edunico sospiro: “Quanta pubblicità!”. Ma, si sa, la pubblicità è l’anima del commercio, e non si potrebbe essere più attuali pur utilizzando un logoro luogo comune.
Gianluca Costantini (Ravenna, 1971), apprezzato illustratore, sembra essersi fatto carico di tale recriminazione, così da rendere le tanto vituperate pagine pubblicitarie oggetto d’indagine della sua ultima fatica editoriale.
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Ho scelto pagine pubblicitarie perché voglio ‘registrare’ disegnando tutta la sterminata produzione di pubblicità delle mostre d’arte contemporanea, delle aste, delle inaugurazioni, delle interviste…”, dice Costantini nell’intervista con Viola Giacometti. Ed è questa registrazione “non meccanica” – perché condotta in punta di matita – a impreziosire tutto il lavoro. Un lavoro mastodontico, a giudicare dalle premesse progettuali: l’intento, infatti, è quello di raggiungere le 2mila pagine disegnate, con conseguente crescita del volume cartaceo e con obbligato incremento della componente archivistica.
In questa prima parte, raccolta nel fascicolo edito da Libri Aparte, vengono pubblicate le quarantacinque tavole che inaugurano l’enciclopedia grafica dell’arte contemporanea.
Andiamo per gradi e cominciamo col dire che non è di certo sottovalutabile l’ingrediente tecnico. La scelta di utilizzare come supporto dei fogli a modulo continuo non è solo un vezzo dell’autore, ma assume inevitabilmente delle complicanze semantiche, a partire dall’omologazione seriale, passando per una tendenza vintage e per finire con la famigerata struttura a righe e buchi laterali.
Il tratto, sobrio e consapevolmente infantile, è estremamente preciso nel delineare forme e contenuti che, allo stesso tempo, non copiano quelli originali, ma rendono riconoscibile al primo colpo d’occhio la fonte. È un tripudio di font, bold o italico che siano, d’immagini ingabbiate o al vivo, di margini classici o sovvertiti, di loghi a cui è necessario trovare uno spazio che non comprometta l’intera composizione.
Le pagine, che verrebbe la voglia di sfogliare come un flip-book, sono pervase da un’ironia di fondo, sapientemente dosata e ritmata da gustosi trabocchetti visivi. Qualche assaggio? Come quando nella fedele riproduzione della pubblicità per la mostra di
Takashi Murakami al Moca di Los Angeles, il refuso sempre in agguato riduce il cognome dell’artistar a ‘Murami’, aggiungendo solo in coda il ‘ka’ mancante. O come quando il disegno, che vuole mimare la scansione a livelli della grafica digitale, incastra titoli, nomi e figure di sfondo spingendosi fino a raggiungere delle deliziose composizioni astratte.