Lo scorso 12 marzo, è stata inaugurata alla Tate Modern di Londra la più grande retrospettiva dedicata a Andy Warhol degli ultimi vent’anni ma, a causa della pandemia da Coronavirus, è stata chiusa poco tempo dopo. La Tate non si però lasciata abbattere e ha proposto un tour virtuale della mostra, guidato dai curatori e fruibile da tutti, comodamente a casa.
Intitolata semplicemente e iconicamente Andy Warhol, l’esposizione raccoglie oltre 100 opere che raccontano l’intera carriera dell’artista. Soffermandosi sulle influenze esercitate dall’artista sul pensiero e la società del tempo, le vicende biografiche e artistiche di Andy Warhol vengono ripercorse nella Tate Modern in 12 sale: Andrew Warhola, Sleep, Pop, The Factory, Silver Clouds, Exploding Plastic Inevitable, the Shooting, Back to Work, Ladies and Gentlemen, Exposures, Mortal Coil, The Last Supper.
L’artista, al secolo Andrew Warhola, nacque nel 1928 nella città industriale di Pittsburgh, in Pennsylvania, figlio di Andrej e Julia Warhola, due giovani emigrati slovacchi. In contrasto con il patriottismo e l’omofobia dilaganti nella New York degli anni Trenta, omosessuale e figlio di emigrati, si avvicina alla colorata comunità di designer, poeti, ballerini e artisti. La sessualità dell’artista e la sua produzione giovanile sono il cuore pulsante della mostra e si materializzano agli occhi dello spettatore nella serie di disegni di figure maschili. Questo nucleo di opere si ricollega concettualemnte al film diretto da Warhol, intitolato Sleep (1963), dove il poeta John Giorno (amante dell’artista) è ripreso mentre dorme per più di 5 ore.
Tra le opere esposte, ricordiamo l’iconico Dittico di Marilyn (1962), Elvis I and II (1963/1964) e Pink Race Riot (1964), che alla Tate vengono analizzate in relazione alla cultura e alla politica americana di quegli anni; gli Screen Tests (1964-1966) e la riproposizione dell’installazione Exploding Plastic Inevitable (1966), prodotto per gli spettacoli dei Velvet Underground. La mostra si chiude, con le ultime opere di Warhol quelle degli anni Ottanta, tra cui spicca The Last Supper del 1986, per la prima volta esposta nel Regno Unito.
A condurre lo speciale tour guidato della mostra troviamo proprio i suoi curatori, Gregor Muir e Fiontán Moran, che hanno spiegato come «Curare una mostra di Andy Warhol al giorno d’oggi significa confrontarsi con un mondo in cui ognuno ha una proiezione mentale dell’artista e della sua produzione». «Tutti possiedono Warhol. È uno di quegli rari artisti che trascendono il mondo dell’arte, essendo diventato ampiamente noto come uno degli artisti più famosi d’America, se non uno degli americani più famosi d’America. Nel tempo, Warhol è diventato – ed è tuttora – un grande marchio, proprio come voleva», continuano i curatori.
Fra gli obbiettivi, quello di sfatare i miti legati alla figura dell’artista, restituendo un ritratto genuino e sincero di uno degli epigoni della Pop Art: «Quando molti pensano a lui, si rivolgono ancora alla Pop Art e alle immagini di lattine di zuppa e bottiglie di Coca-Cola, di Marilyn e di Jackie. Tuttavia, la maggior parte di questi lavori furono prodotti nella prima parte degli anni ’60, nella prima casa dell’artista in Lexington Avenue, non nella Silver Factory, come la gente immagina. La realtà è che l’influenza duratura di Warhol può essere trovata nel suo investimento di lunga data in film e TV sperimentali, così come nel suo costante fascino per celebrità, arte commerciale, musica pop e pubblicazioni commerciali».
Una mostra, dunque, che si propone di svelare un Warhol al di qua e al di là del mito, per ciò che era, «Tenendo conto del viaggio della sua famiglia in America dall’est Europa, della sua strana identità e del modo in cui il suo lavoro sarebbe stato alla fine informato dalla morte e dalla religione» hanno affermato «con questo in mente, volevamo guardare di nuovo Warhol».
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