L’amico, quello saggio, le scrive su WhatsApp le testuali parole:
“Secondo me la cosa importante è definire fino a che punto i desideri degli altri sono i tuoi”.
Ricordarselo il desiderio, che all’improvviso si fa così vivo, impellente.
In un punto molto preciso, indovinate quale.
E così, mentre lei rassetta la casa vuota, in un dettaglio mai sperimentato prima, mentre elimina le gocce appiccicate sul battiscopa sotto alla lavapiatti per esempio, si chiede – dove inizio e dove finisco? È sola, chiaramente finisce lì.
C’è un rollinz che ruzzola sul tavolo della cucina. Casca e si rialza, casca e si rialza, casca e si rialza.
Un biondo con la spada luminosa. Una leggenda. Dei figli neanche l’ombra.
Lei pregustava una settimana di libertà e perché no, un amante. Il primo. Dopo mesi senza amore, dopo una separazione, dopo anni con un uomo, lo stesso.
L’ipotesi di un altro maschio per parecchio tempo l’aveva atterrita. Sognava solo sesso con donne. Un gran sollievo.
Poi però si era trovata a cena con un articolo interessante.
Che parlava di amanti, di limonare, di signore che aveva bevuto troppo per ricordare.
Un articolo promiscuo e affascinante.
L’ideale per farne un amante. Per diventare una delle sue. Infilarsi in un intreccio, nada más.
Questa ipotesi, invece di atterrirla l’attraeva. Molto. Tuttavia, da quella cena era fuggita prima dello scoccar di mezzanotte, temendo di trasformarsi in una zucca. I cavalli in topolini e tutto il resto comme il faut.
Il giorno dopo, la paura sgangherata che l’aveva colpita nella pancia, un pugno inaspettato, si era trasformata in desiderio. Netto, chiaro, solido. Aderente a un numero preciso, che si manifestava ogni tanto sul suo telefono.
Ottimi segnali.
Il tempo ora ha una durata e un senso diversi. Lei scorrazza la notte tra nuove cene e lunghissime letture.
Il tempo incastrato, ora rincomincia a scorrere.
Lei manda un messaggio e arriva un invito. I capezzoli friggono. Buon segno, sono ancora vivi.
Non importa se l’amante ci sarà, chi è, cosa fa. L’importante è essere viva.
La città, tuttavia, in questo periodo è colpita, ostile, molto chiusa.
Se qualcuno tossisce gli altri si spaventano.
Eppure una fiammella si accende, la voglia arriva e sussiste, ci si avvicina senza toccarsi, il contatto virtuale c’è.
E c’è anche quello virale. E stringe sempre di più. Colonnine di numeri in aumento esponenziale. Chi parte, chi scappa, chi accusa. La peste, il Manzoni, il sindaco, il permesso per muoversi da scaricare e compilare e chi non ha stampante lo copi a mano. I poliziotti che ti dicono di tornare a casa. Tutto vero.
Prima una piccola zona rossa delimitata, quella gialla intorno, e la gente che ancora usciva, s’incontrava, partiva; ora basta, è zona rossa per tutti. La città chiude.
Sette giorni liberi, sette notti, uno dietro l’altro, fatti di lavoro e perché no, di sesso. Perché no? Perché nel silenzio sadico che della città lascia intendere solo i passaggi del tram e quelli delle sirene dell’ambulanza, nessuno più osa allungare un passo. Perché i decreti si accumulano uno dietro l’altro. La zona rossa e l’Italia sono la stessa cosa. In Francia aspettano le elezioni per dichiararla, in America perdono la testa, in Corea del Sud ricominciano dopo una breve sosta.
E la mano, stanca della tastiera, dei buoni propositi e di quelli molto meno, si accascia tra le gambe e in qualche modo ringalluzzisce il desiderio poi si affloscia.
L’amante resta oltre la porta, oltre la strada, oltre il ponte, oltre lo schermo.
Lei pensa alla sua voce bassa, solare, rigogliosa. Barry White per esempio. Il braccio sfrega, le gambe rispondono, il respiro s’accorcia, qualcosa succede. Succede, succede, succede. E poi finisce. Con un sorriso mellifluo e quella voce ancora nelle orecchie. My darlin I, can’t get enough of your love babe…
No, I can’t get any.
E l’unico corpo qui dentro è il suo, gli occhi li riapre, li aguzza e se non sbaglia, di fianco al calorifero c’è una macchiolina da togliere.
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