Mi è stato chiesto, in occasione del raduno annuale de “Le Buone Pratiche”, di offrire un contributo in relazione all’attenzione che exibart offre allo spettacolo dal vivo e al teatro.
“Le Buone Pratiche” è un format che, dal 2004, ha chiamato a discutere centinaia di operatori (organizzatori, curatori e direttori artistici, politici e amministratori, attori, studiosi e studenti) sulla situazione dello spettacolo dal vivo e sulle “buone pratiche” che garantiscono la sopravvivenza e lo sviluppo del settore in un paese come l’Italia dove la cultura si consuma e si sostiene troppo poco.
Quest’anno, il progetto, curato da Mimma Gallina e Oliviero Ponte di Pino per la Associazione Culturale Ateatro, ha per tema Lo spettacolo dal vivo nello spazio della cultura contemporanea. Un tema importante, in queste giornate emblematiche che hanno visto non solo lo sbarramento di musei, cinema e teatri, ma anche l’impossibilità di incontrarsi dal vivo. E così, questo tema assume risonanze molto particolari, visto che i settori della cultura e dello spettacolo sono stati i primi a essere azzerati dalle misure anti-Coronavirus.
Ma, a quanto pare, la cultura e il suo dibattito non si sono fermati, anzi. E così da oggi, sabato 14 marzo, a partire dalle ore 14, potrete seguire l’edizione 2020 delle Buone Pratiche del Teatro – anziché alla Fondazione Feltrinelli di Milano – comodamente seduti (o sdraiati) sul divano di casa vostra, con una serie di contributi registrati e live da tutta Italia. Qui l’indirizzo del canale Youtube.
Oggi che è tutto sbarrato e che le nostre possibilità di movimento sono limitate, penso sia quanto mai importante affermare la presenza dello spettacolo dal vivo nella nostra vita culturale, per una questione molto semplice: la “mediazione dell’interpretazione” è decisamente più vicina al pragmatismo della realtà di quanto non possa esserlo qualsiasi strumento informatico.
L’ho ribadito spesso anche in altre occasioni, anche distanziandomi un poco dalle forme d’arte di cui quotidianamente ci occupiamo su exibart, ovvero quelle dell’arte visiva, che rispetto al teatro e alla musica intrattengono con lo spettatore un rapporto meno diretto, “meno emozionale” e più mediato, semplicisticamente parlando.
Ma è anche per questo, appunto, che non esiste alcun dispositivo virtuale che possa trasmettere la potenza dell’essere lì e ora, nella platea di un teatro ad assistere a uno spettacolo o a un concerto che, come la vita quotidiana, sono fatti di rumori di fondo, di scricchiolii, di vicini che ridono o piangono o semplicemente non stanno zitti.
Certo, per quanto riguarda i musei, negli ultimi anni i paradigmi di visione sono cambiati moltissimo: alcuni sostengono che i musei siano diventati semplici luna-park, altri che non si vada più per vedere opere ma per assistere a eventi continui. Ma ciò che deve rimanere, alle mostre così come a teatro, è l’intima relazione tra noi, con i nostri pensieri, il nostro sentire, e le opere, le rappresentazioni.
Penso che andare a teatro, a vedere mostre, e anche al cinema, sia anche una opera di pulizia visiva del nostro sguardo e della nostra mente, specialmente in questi giorni completamente accecati dalla paura e dall’ansia e, non in ultimo, schiacciati dalle imposizioni di tutela del governo e dal bombardamento mediatico.
C’è un’altra domanda, da programma, alla quale rispondo, che è la seguente: “A quali condizioni le scene e le piazze virtuali possono essere spazi di condivisione e di crescita personale e collettiva?”. Penso, semplicemente, a condizione che il virtuale non surclassi il reale. Ancora una volta il ragionamento è semplice: è certamente meno faticoso vedere uno spettacolo in streaming, assistere a una conferenza stampa dal proprio computer, ma è altrettanto vero che stando comodamente seduti alla propria scrivania si rinuncia all’esistenza quotidiana, per un domestico che diventa prigionia. E alzi la mano chi non lo sta sperimentando in queste ore.
Ecco, queste ore dovrebbero anche insegnarci quanto la mobilità , la socialità , l’incontro con l’altro siano fondamentali nella crescita umana, e non solo una possibilità – diciamo pure piuttosto remota – di essere infettati da qualche strano virus.
In questa dialettica, la scena teatrale ha ancora un ruolo?
Ovviamente la mia risposta è sì, ed è il motivo per cui, anche attraverso la nostra rivista, cerchiamo di dedicare ampio spazio alle proposte teatrali e alla scena performativa in genere. Perché la scena, il palcoscenico, la recitazione, la danza, nonostante tutto (e mi riferisco alle platee di Facebook, ai miliardi di storie di instagram, ai video di Tik Tok, alle chat di Snapchat e chi più ne ha più ne metta), è come se mantenessero viva la possibilità di respiro del pensiero.
Non è un caso che, in questi giorni, nonostante le mille proposte culturali attraverso i Social, ci sentiamo comunque spaesati, disattenti (sì, i social media riducono la soglia di attenzione) e un po’ rincoglioniti.
Mi auguro che queste settimane di pausa possano permettere a ognuno di noi di capire l’importanza di vivere in un Paese dove le porte per la cultura dal vivo sono aperte e accessibili sempre!
E mi auguro che chi in questi giorni sta usando lo schermo per “farsi una cultura” dopo questa quarantena abbia voglia di capire “dal vivo” cosa significa andare a teatro, a un concerto, o di mettersi in coda per una mostra o un opening. Senza sbuffare!
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