Quando risponde ad alta voce “arrivo” al bip bip del micro-onde, si rende conto del livello invadente di solitudine che la ottunde dopo diverse settimane. Non riesce più a tenere il conto. Oggi un amico ha detto marzo invece di aprile e un dubbio le è venuto.
In che mese siamo?
Pensa ai robot, agli androidi e alle persone che vivono con bambole di ogni tipo.
Donnoni di solito, se li trascinano fino in chiesa, a tavola, a letto.
Le tornano in mente in un secondo tutti gli articoli bizzarri che ha letto negli ultimi tempi. La mostra fotografica in galleria, coppie fatte dei proprietari e le loro bambole. Gente che convive con pupazzi e li tratta come se fossero vivi. Li lava, li veste, li vizia. Ne parla come se dovessero rispondere, li interpella, li ritiene una presenza effettiva nella propria vita.
Defoe, citato all’inizio della Peste di Camus, dice così: è ragionevole descrivere una sorta di imprigionamento per mezzo d’un altro, quanto descrivere qualsiasi cosa che esiste realmente per mezzo di un’altra che non esiste affatto.
Il bello dei pupazzi è che non rispondono mai. Meravigliosa folie à deux.
Guai a farglielo notare.
Le viene in mente una coppia che aveva notato in un ristorante della stazione di Firenze, molto affaccendata attorno a un passeggino rosso. Molto, molto affaccendata, mentre lei beveva languida un succo di frutta prima di partire, interrotta da tutto ‘sto movimento.
Uscendo, però, si era accorta che nel passeggino c’era un cane. Un cagnolino nero.
Un cane in passeggino lo aveva notato anche in tram pochi giorni dopo. Bestie sane private della libertà di muoversi. Mentre ancora lei si muoveva, partiva, tornava, attraversando la città.
Ora i tram servono soltanto a far rumore, sfrecciano vuoti in giro. Alcuni tranvieri indossano la mascherina, altri no. Il caso, il caos, ognuno lo addestra come vuole. In cucina lei estrae la tazza, ringrazia il micro-onde ad alta voce e si prepara un té. Ringrazia? Never mind.
L’uomo è un animale sociale.
Poi si apposta in sala a leggere un vecchio D di Repubblica, uno qualsiasi, l’edicola sotto casa ha chiuso e non ha voglia di camminare per trovarne un’altra. Quindi rilegge. Quotidiani, riviste, diari. Il tempo viene smistato su altri binari.
E, manco a dirlo, trova un articolo su altri pupazzi, bebè stavolta, riprodotti così fedelmente che la gente se li porta in giro per il mondo come tali. Cicciobelli 3.0
Se la sentissero i maker dei reborn la lincerebbero. Questi sono sofisticatissimi giocattoli per adulti, costo variabile da 350 a 35mila dollari, chat esclusive per chi li colleziona, li coccola, ci dorme, li attacca al caricatore invece che al seno, perché come splendide automobiline telecomandate questi si muovono, ciucciano, mugolano e quando smettono si ricaricano e ricominciano.
Incredula lei sorride, s’incuriosisce e continua a leggere.
Si rende conto di stringere un cuscino tra le gambe e sta pure sfregando la schiena sul divano alla ricerca di un contatto.
Ma l’unico contatto è quello degli occhi con le parole stampate. Doll therapy.
La doll therapy funziona per i bambini autistici, per gli anziani con l’alzheimer, per i soldati traumatizzati dalla guerra. Chiude la rivista e si chiede come se la comprerebbe lei la bambola, il bambolo anzi. Ora come ora ne vendono solo un pezzo.
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