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Fino all’inizio del Novecento (ma in realtà anche dopo) le donne erano fasciate, strizzate in abiti che dovevano mettere in evidenza il “vitino da vespa”. Non se la passavano male come le geishe, a cui venivano tanto compressi i piedi da ragazzine da non riuscire quasi più a camminare da adulte, ma, tra bustini e stecche, poco ci mancava.
Poi è arrivato uno come Cristobal Balenciaga, visionario stilista spagnolo che chissà dove prese l’idea di quegli abiti larghi, quasi trapezoidali, dove il corpo della donna annegava ma poi riemergeva con un coté di mistero e di strano. Balenciaga ha fatto scuola, una delle sue epigone più inventive è stata la stilista belga Martin Margiela, ma mai, forse, quanto i giapponesi Rei Kawakubo e Issey Miyake, che hanno disegnato gli abiti per un celebre marchio quale è Comme des Garçons. E che soprattutto hanno liberato la donna dall’abito-prigione
Il recente volume Fashion Game Changers (Edizioni Bloomsbury) racconta questa bella storia.