In scena due leoni (ancora non d’oro, ma chissà mai): Rashid Rana (in rappresentanza del Pakistan) e Shilpa Gupta (per l’India). Il terreno di gioco è la Biennale di Venezia di Okwui Enwezor, e lo spazio sarà il medesimo. I due artisti si divideranno, infatti, un unico Padiglione collocato a Palazzo Benzon.
Il titolo? “My East is your West”, e all’indomani della strage di Peshawar, ribattezzata dai giornali locali l’11 settembre del Pakistan, sembra essere decisamente azzeccato. Non fosse altro che, a causa dei talebani, oggi il Pakistan agli occhi occidentali incarna il terrore, ripiombando però a sua volta in uno degli errori principali dei regimi: ristabilire la pena di morte per i reati terroristici.
L’arte, invece, dimostra ancora una volta come sia possibile superare conflitti: significativo, infatti, che due Paesi in conflitto secolare come India e Pakistan si mettano insieme, con due dei loro nomi migliori. «Vorrei che il Subcontinente potesse essere uno spazio simile all’Unione europea, dove le persone provenienti da Paesi vicini avessero la libertà di movimento e di idee», ha detto Rana, che vive a Lahore, e che continua: «Iniziative come questo progetto potrebbero rivelarsi un cammino verso la realizzazione di questo sogno, che non potrà diventare realtà nella mia vita, ma spero possa esserlo in quella di mio figlio».
Un riscatto anche per i due Paesi, che a Venezia hanno avuto esperienze alterne, e spesso poco fortunate. La mostra sarà organizzata dalla Fondazione indiana Gujral, e anche questo punto identifica il fatto che forse il Subcontinente della cultura riesce a fare un passo in avanti verso il “nemico”, se non altro lasciando da parte la paura del confronto. Un ottimo inizio. Siamo davvero nel migliore dei mondi possibili, in questo caso? A latere di speculazioni, fantapolitica, odio e xenofobia, conoscendo i soggetti quest’anno avremo una nuova tappa da fare a Venezia, e qualcosa ci dice che il progetto non potrà che essere strettamente legato all’attualità. Un modo in più, e forse migliore, per poter riflettere su quello che è accaduto e sta accadendo in queste ore, in quella polveriera – inosservata, e ignorata – del mondo. Sempre più simile all’Occidente, con odi profondi, e con le stesse paure.