Categorie: lavagna

CONTROPELO

di - 1 Novembre 2017
Nel dibattito sviluppatosi intorno all’articolo di Ruth Ben-Ghiat, «Why are so many fascist monuments still standing in Italy?», «Perché in Italia sono tanti i monumenti fascisti ancora in piedi?», è stato enfatizzato il tema dell’infelice titolo trasformandolo nel più eclatante «Demolite l’architettura del ventennio fascista». Ma questo lei nel testo non l’ha detto e, anche se indubbiamente l’articolo non brilla per chiarezza e precisione prestandosi a interpretazioni radicali, contiene invece altri spunti per riflessioni interessanti.
Purtroppo l’autrice confonde, per dirne una, gli interventi urbanistici ed architettonici, come quelli italiani che cita, con le operazioni strettamente celebrative quali le statue e le titolazioni toponomastiche. Condividiamo il bravo per la Francia che ha cancellato Petain e i suoi sodali dalle targhe stradali o l’incoraggiamento per quegli stati USA che hanno abbattuto le statue sudiste ma noi diciamo bravo anche all’Italia che non ha distrutto le opere di Sironi o Campigli o Prampolini solo perché celebrative dei trionfalistici miti del ventennio. Conservando in tal modo anche traccia di come quel regime, per quanto nefasto, fu però promotore di artisti di diverso livello e caratura, ruolo cui lo stato democratico ha ormai del tutto rinunciato.
Quindi forse è bene stare molto attenti a salvaguardare quel confine molto labile fra damnatio memoriae e distruzione fondamentalista.
Palazzo della Civiltà Italiana
D’altronde lo schematismo della Ben-Ghiat si rileva dal suo non portare avanti un ragionamento a partire dalla reazione disincantata di Rosalia Vittorini che, alla sua domanda di come gli italiani percepiscano la forte presenza delle tracce del ventennio, risponde: Why do you think they think anything at all about it? «Ma perchè pensi che pensino qualcosa in merito?».
E poiché forse la traduzione inglese ha modificato la vera risposta «Perchè pensi che dovrebbero pensare qualcosa a questo proposito?» potremmo aprire la strada a una riflessione più interessante sul senso dell’architettura e degli impianti urbani lasciando ad altri le analisi sulle manifestazioni della recrudescenza globale della destra più o meno estrema e ahinoi non solo in Italia. E non ci verrebbe neanche in mente l’ipotesi di demolire qualcosa.
Anche se è ben noto a tutti – val la pena ricordarlo a proposito di questo dibattito – i centri storici italiani hanno impianti urbani, più o meno antichi, che mostrano specifiche caratterizzazioni stilistiche e di immagine, talora omogenee e predominanti, talora rappresentanti di fasi storiche successive, nei quali tuttavia di frequente può riscontrarsi la forte trasformazione urbanistica avvenuta in epoca fascista e in molti casi anche in parti rilevanti di città; questi segni spesso forti, ricorrenti in tutto il paese sono ormai consolidati nella nostra percezione dello spazio urbano vissuto molto più di quegli episodi isolati, raramente significativi, della ricostruzione postbellica e come tali hanno perso per consuetudine ogni richiamo all’origine politico-ideologica della loro realizzazione.
L’ignoranza delle impiegate di Fendi circa l’imprinting dittatoriale del Palazzo della Civiltà Italiana all’EUR nel quale lavorano, facendo risuonare il ticchettio dei tacchi a spillo sui pavimenti di travertino, non è un dato veramente rilevante cui prestare attenzione come suggerisce la Ben-Ghiat.
Palazzo della Civiltà Italiana
E se invece ragionassimo sul tema della conservazione/riconversione del patrimonio dell’architettura razionalista e non certo per portare avanti squallide e patetiche operazioni di celebrazione revisionistica del tragico passato come giustamente teme e segnala l’articolo?
Per esempio prendendo in esame la vicenda della Casa del fascio a Como di Terragni, attualmente destinato a caserma della finanza, si potrebbe riaprire il dibattito sulla contestata proposta del MAARC di restaurarlo e rifunzionalizzarlo per museo dell’architettura razionalista, introducendo il tema delle conservazione e diffusione della memoria storica del recente passato, in coerenza con lo spunto dell’articolo della Ben-Ghiat, con l’inserimento di un centro di documentazione dell’attività antifascista e della resistenza nell’area dei laghi e del confine con la Svizzera.
Questo un tentativo di risposta alla domanda «Perché in Italia sono tanti i monumenti fascisti ancora in piedi?» cui aggiungere un po’ provocatoriamente: anche per le stesse ragioni per le quali nella nostra lunga storia abbiamo conservato il Colosseo, già teatro di persecuzioni, adeguandolo e riutilizzandolo prima di monumentalizzarlo, trasformato le peccaminose terme di Diocleziano nella michelangiolesca basilica di santa Maria degli angeli, riutilizzato le efferate carceri politiche borboniche e…consegnando così all’umanità un patrimonio storico culturale immenso.
Giancarlo Ferulano

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