Create an account
Welcome! Register for an account
La password verrà inviata via email.
Recupero della password
Recupera la tua password
La password verrà inviata via email.
-
- container colonna1
- Categorie
- #iorestoacasa
- Agenda
- Archeologia
- Architettura
- Arte antica
- Arte contemporanea
- Arte moderna
- Arti performative
- Attualità
- Bandi e concorsi
- Beni culturali
- Cinema
- Contest
- Danza
- Design
- Diritto
- Eventi
- Fiere e manifestazioni
- Film e serie tv
- Formazione
- Fotografia
- Libri ed editoria
- Mercato
- MIC Ministero della Cultura
- Moda
- Musei
- Musica
- Opening
- Personaggi
- Politica e opinioni
- Street Art
- Teatro
- Viaggi
- Categorie
- container colonna2
- container colonna1
L’episodio di qualche mese fa della statua di santa Bibiana, conservata nell’omonima chiesa del quartiere romano dell’Esquilino (foto in alto), danneggiata al suo rientro dopo la grande mostra dedicata a Bernini dalla Galleria Borghese, ha offerto suo malgrado un esempio del paradossale rapporto tra valorizzazione, turismo e identità cittadina, e della necessità di ridefinire il significato del nostro patrimonio e gli obiettivi della sua gestione. Al di là delle polemiche, nel caso specifico, sull’opportunità o meno di un intervento di restauro con relativo spostamento dalla sede originaria.
È fondamentale leggere i monumenti che ci circondano non come silenziose e inerti testimonianze del passato, ma come brani di un testo composto in una lingua viva. Testo complesso, o meglio ipertesto, prodotto da altri uomini per comunicare a diversi livelli più o meno coscienti valori politici, etici, religiosi e, insomma, una Weltanschauung in cui troveremo idee o abitudini ancora importanti per il presente, e che contribuiscono ad affermare, contraddire o almeno problematizzare la nostra partizione del sensibile. Un singolo brano, estrapolato da un testo, può significare qualsiasi cosa: per questa ragione, il con-testo (storico, sociale, urbano) è essenziale a che la comunicazione originaria resti fedele, efficace, e non venga manipolata o banalizzata. Oggi che il concetto di “post-truth” è diventato familiare, si capirà facilmente l’importanza culturale e politica di questa necessità.
Un’opera d’arte, non importa quanto vecchia e classica, è attualmente e non solo potenzialmente un’opera d’arte quando vive in qualche esperienza individualizzata. In quanto pezzo di pergamena, di marmo, di tela, essa rimane (soggetta, però, alle devastazioni del tempo) identica a se stessa attraverso gli anni. Ma come opera d’arte essa viene ricreata ogni volta che viene sperimentata esteticamente (John Dewey). L’opera d’arte, cioè, viene esperita in momenti successivi alla sua creazione, e in questo modo conosce ogni volta una nuova ri-creazione. La sua dimensione estetica, latente nel manufatto o supporto materiale, rinasce ogni volta in virtù della percezione e nella sensibilità di chi la osserva. In questo processo di continua intuizione e creazione, intervengono le successive stratificazioni storiche che su di essa si depositano, aggiungendo a essa nuovi contenuti, nuovi sensi e valori, nuovi percetti. Di queste fa parte l’insieme antropico e sociale, oltre che, in senso più stretto, quello architettonico e urbanistico, che intorno a essa si è costituito nel tempo.
Estrarre un’opera dal suo contesto, non solo fisicamente, ma anche trattandola come episodio assoluto e straordinario, di solito con l’obiettivo di una valorizzazione prettamente economica (si pensi, per Roma, al Colosseo oppure al Pantheon), anziché far riemergere il rapporto che intrattiene con esso anche dirottando il flusso di visitatori su aree (relativamente) periferiche, significa congelare la sua capacità di relazionarsi rinnovatamente con i destinatari di una comunicazione. Imbalsamare ciò che ha la proprietà di continuare a crescere e reagire; censurare, banalizzare o manipolare il suo messaggio. Succede così, ad esempio, che un insieme come quello del Colosseo e del poco distante Arco di Tito vengano visti da milioni di turisti come imponenti e prestigiosi esempi della grandezza di Roma, mentre oggi più di ieri ci interrogano sulla tragedia di un popolo colonizzato e condannato alla diaspora come quello ebraico dopo le campagne giudaiche di Vespasiano e Tito, con tutti i paralleli e confronti, per analogia o differenza, con l’attuale situazione in Medio Oriente.
Queste idee possono realizzarsi in progetti come quelli che stanno nascendo dalla cittadinanza, dai comitati di quartiere e dalle associazioni, volti a coinvolgere direttamente le realtà sociali che rappresentano quella stratificazione che a tutti gli effetti distingue l’idea di contesto sopra descritta. Progetti che ambiscono a strutturare una rete di musei diffusi che materializzino la consapevolezza dei caratteri dei diversi nodi di realtà urbana. Un modello che dovrà arrivare a modificare il corrente concetto di turismo come settore di consumo. Bisogna avere il coraggio di “dimenticare” temporaneamente le finalità economiche, i record di visita, il valore di scambio della città, e puntare sul suo valore d’uso e sulla qualità dell’esperienza. Solo così anche le speranze di indotto economico potranno proiettarsi sulla lunga durata, prima che la situazione degeneri drammaticamente come sta succedendo altrove. (Mariasole Garacci)