Finalmente si è capito che occorre impegnarsi per valorizzare l’arte italiana. Questo è quanto è emerso dalla presentazione fatta ieri della 17esima edizione della Quadriennale di Roma. Tutti i progetti, i segmenti di cui si compone questa manifestazione che avrà il suo compimento nella grande mostra del 2020 (i dettagli li trovate nella
news pubblicata su Exibart) convergono su questo punto: la necessità di investire sulla nostra arte del presente, privilegiando i giovani artisti. Ai vecchi, grandi o meno che siano, per ora ci pensa il mercato.
Già, ma come? Non si rischia di bissare il lavoro che da un paio d’anni sta facendo l’Italian Council guidato da Federica Galloni, al vertice della Direzione per l’arte, l’architettura contemporanee e le periferie urbane? No, perché il programma esposto dalla direttrice artistica Sarah Cosulich, e sostenuto con convinzione dal presidente di Quadriennale Franco Bernabè, fa leva su un punto che si distanzia dall’operato della struttura ministeriale, focalizzandosi non tanto sul sostegno alla produzione di un nuovo lavoro di un artista che entri poi nella collezione di un museo italiano, quanto nel sostegno ai nostri artisti coinvolti in iniziative realizzate da istituzioni straniere. Come? Trasformando (purtroppo con ben altri fondi) la Quadriennale in una sorta di Pro Helvetia svizzera, di Mondriaan Foundation olandese, di British Council britannico. Facendo, insomma, di questa struttura italiana un surrogato (sempre per via del budget) di quanto fanno nei rispettivi Paesi le suddette istituzioni. Che sostengono i propri artisti per lavorare all’estero, ma che si occupano anche di invitare i curatori stranieri per conoscere gli artisti.
Villa Carpegna, sede della Quadriennale
E questo è quanto pare voglia fare anche la nostra Quadriennale. Una doppia azione di “expo e income”: investimento nell’”esportazione” della nostra arte e incentivo per curatori stranieri (e ci auguriamo anche direttori di musei) per scendere in Italia a conoscere i nostri artisti attraverso appuntamenti programmatici che si snodano nei prossimi tre anni.
Perché è importante una strategia del genere e perché, soprattutto, non si tratta di un argomento bizzarro, fuori tempo massimo e fuori contesto in epoca di globalizzazione sempre più spinta? Non stiamo a perorare cause ottusamente nazionaliste, si vuole affermare, invece, che l’arte, al pari e più del design, la moda e il cibo, è quanto il mondo ci riconosce come tratto distintivo. E’ quanto di noi interessa al mondo. Ed è quello su cui dobbiamo anche puntare per uscire dalla serie b dove l’Italia si è infilata da anni.
Tutto questo (e la relativa urgenza), specie Franco Bernabè, manager di lungo corso, sembra averlo capito molto bene: l’arte e la cultura sono importanti perché sono elementi competitivi sullo scenario internazionale. Insieme alla capacità di innovare, sono il biglietto da visita con cui un Paese si presenta nel mondo globale. Ed è singolare, oltre che interessante, che Sarah Cosulich, pur provenendo da una realtà come quella di Artissima che ha privilegiato la scena internazionale, oggi si ponga seriamente questo problema.
Mi viene da pensare che il Forum per l’arte contemporanea che si tenne a Prato nel settembre 2015, al quale ho partecipato insistendo proprio su questi punti, abbia fatto strada, sensibilizzando operatori del settore anche oltre quello che è stato il suo raggio d’azione. E questo non può far che piacere. Le idee sono idee perché fluide, perché viaggiano, germinano, inseminano e non è sempre necessario rivendicarne la paternità.
Infine, una nota dolente: tema soldi, of course. Che al momento alla Quadriennale mancano per realizzare questo, più che ambizioso, corposo progetto. Partirà una campagna di fundraising, e speriamo che le aziende italiane siano in grado di cogliere l’opportunità della visibilità all’estero che può dare affiancare la produzione culturale.
Speriamo, insomma, che l’Italia più produttiva e più attenta, pentastellata o leghizzata che sia, sia capace di pensare e agire da adulta.
Adriana Polveroni