Questo anno la Biennale di Venezia intitolata “May You Live in Interesting Times” curata da Ralph Rugoff, evidenza magistralmente un approccio generale al fare arte e una visione della funzione sociale dell’arte nella quale la costellazione dei Padiglioni Nazionali è riuscita a evidenziare un numero significativo di proposte e di progetti degni di nota; tra i quali il Padiglione dell’Australia curato da Juliana Engberg.
Stiamo vivendo in un periodo controverso, indubbiamente “in un momento particolarmente interessante”. Cosa ne pensi?
«La maggior parte sono interessanti. Ciò che è significativo di questo momento è la polarità dell’opinione pubblica e le oscillazioni che ne derivano. Il centro e l’estrema sinistra stanno perdendo terreno nella politica tradizionale. Per esempio, lo abbiamo visto nelle recenti elezioni europee. Recentemente anche nei risultati delle elezioni australiane. I partiti principali si stanno frammentando. Gli indipendenti, spesso con valori estremi, hanno diviso il binario una volta sicuro, dei partiti di maggioranza. Abbiamo bisogno di un ripensamento della sfera politica. I politici devono iniziare ad ascoltare le altre voci che stanno emergendo nei movimenti di sensibilizzazione che esprimono preoccupazione per la crisi ambientale, la tolleranza e l’ospitalità, la condizione dei senzatetto e dei rifugiati, la lotta contro la povertà e l’equità diseguale, la fuga per l’uguaglianza di genere. In particolare, i politici devono ascoltare le voci dei giovani, che utilizzano piattaforme diverse al di fuori del sistema politico parlamentare e di partito, per formulare proposte sul tipo di mondo che vogliono per il loro futuro. Assembly di Angelica Mesiti esulta di questi atti di partecipazione e li porta nell’arena principale del processo decisionale governativo».
Angelica Mesiti, ASSEMBLY, 2019, (production still) three channel video installation in architectural amphitheater. HD video projections, colour, six- channel mono sound, 25 mins, dimensions variable. © Photography: Bonnie Elliott. Commissioned by the Australia Council for the Arts on the occasion of the 58th International Art Exhibition- La Biennale di Venezia, courtesy of the artist and Anna Schwartz Gallery, Australia and Galerie Allen, Paris.
Il film di Angelica Mesiti utilizza la musica per affrontare lo stato dell’instabilità delle democrazie a livello globale, in particolare la cacofonia di voci e i punti di vista contrastanti. Il suono, l’immagine, la narrazione, la danza, l’insieme assorbe ed arriva in modo sublime allo spettatore. Tra l’altro è stato girato nelle lussuose camere del senato Italiano e Australiano. Puoi parlarcene.
«Assembly di Angelica Mesiti usa la formalità storica delle tradizionali camere del Senato, sia in Italia che in Australia, come siti e mis-en-scene per la sua dolce rivoluzione. Comincia mostrando queste camere come luoghi immobili e vuoti. Stabilisce metaforicamente il vuoto che sembra essere penetrato nella politica tradizionale. Gradualmente riempie questa assenza con i musicisti, gli artisti e un entourage di giovani donne che mettono in gioco nuove energie. Attraverso mezzi non verbali costruisce una vitalità progressista deliberata che usa gli stili musicali di dissonanza, cacofonia, polifonia e armonia per indicare la gioiosa esuberanza della differenza e la possibilità di questi suoni a volte contrastanti si allineano per trovare l’armonia e il consenso. La democrazia viene eseguita e praticata nel lavoro di Angelica, attraverso queste metafore musicali e i significati poetici».
Angelica Mesiti, ASSEMBLY, 2019, (production still) three channel video installation in architectural amphitheater. HD video projections, colour, six- channel mono sound, 25 mins, dimensions variable. © Photography: Bonnie Elliott. Commissioned by the Australia Council for the Arts on the occasion of the 58th International Art Exhibition- La Biennale di Venezia, courtesy of the artist and Anna Schwartz Gallery, Australia and Galerie Allen, Paris.
Cosa hanno realizzato le istituzioni per soddisfare un pubblico sempre più esigente? Quali sono le tue metodologie preferite e i modelli utilizzati dalle istituzioni in questi ultimi anni? Puoi farci qualche esempio applicato in Australia?
«Penso che il pubblico stia arrivando all’arte per trovare una comunità, trovare modi per stare insieme e sperimentare. Sospetto che possa avere qualcosa a che fare con il vivere in un’era di cultura dello schermo in cui è del tutto possibile essere abbastanza isolati ma ancora connessi al mondo intero attraverso i mezzi digitali, ma mai realmente toccare qualcosa di reale. In risposta molti artisti hanno, a partire dalla metà degli anni ’80, più o meno, gradualmente optato per un contatto spaziale ed esperienziale con lo spettatore. Le istituzioni d’arte, notando questo passaggio hanno optato per ambienti più ampi ed avviato commissioni guidate dal contesto che portano il pubblico a “raccogliersi”, “muoversi”, “divertirsi”, ed a essere “usati”, in una sorta di contemporaneo sublime. The Weather Project di Olafur Eliasson o These Associations di Tino Segal, tutte e due alla Turbine Hall della Tate Modern, sono degli esempi lampanti. Questi progetti generano più visitatori e così arriviamo alla crescita esponenziale del pubblico per il consumo culturale. Le istituzioni costruiscono edifici più grandi, l’arte segue l’onda, l’esperienza comincia a logorarsi. Gli artisti guardano oltre l’istituzione per un po’ di aria libera. Il consumo eccessivo sfugge alle aspettative della visione tradizionale, quindi ora assistiamo all’emergere della visita su misura. Momenti speciali con l’arte che hanno un costo economico. I governanti vogliono che i musei siano pieni, ma pagano molto poco per i loro programmi e il loro mantenimento considerando il flusso economico derivante dal nuovo movimento di turisti culturali. Cosa è stato fatto per soddisfare queste esigenze? Semplice; ora progettano e installano più servizi igienici».
Camilla Boemio
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