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“Guardiamoci dal credere che il mondo sia una creatura vivente. In qual direzione dovrebbe esso espandersi? Di che si nutrirebbe? Come potrebbe crescere e aumentare?”
F. Nietzsche, La Gaia Scienza, #109
Dopo il ciottolo antropico raccolto sulle rive del Mar Ligure, è il turno di un altro abitante del mondo marino e nella fattispecie di una medusa del Mar di Mozambico, qui immortalata in simbiosi con una colonia di stelle marine.
Dal macrocosmo al microcosmo senza soluzione di continuità, il meno che si possa dire è che comprendiamo chi ama concedersi più di un flirt con l’idea di un Logos del Creato. Tanto più se pensiamo che che gli astronomi usano identificare quelle galassie che si comportano un po’ come delle stelle comete con l’attributo di “galassie medusa”. Se pensiamo, poi, che tale modello in scala ridotta di una galassia interstellare non è “solo” un artefatto umano, ma “anche” un’occorrenza naturale, c’è di che essere amletici tanto nei confronti di un obiettivismo di tipo scientifico, quanto di un prospettivismo di matrice filosofica.
In un bestiario aggiornato e sincretistico, figurerebbe tuttavia in quanto Allegoria dell’Universo, evidentemente in espansione e contrazione, con le sue galassie a spirale anch’esse in fuga, relativa e non, un’attrazione gravitazionale finalmente spiegata in virtù di una massa gelatinosa e “luminifera”, l’eco bruniana dell’infinità dei Mondi. Un che di sinistro, occorre aggiungere, fa capolino tra i tentacoli urticanti. Trattasi forse di un cimitero di stelle? C’entra per caso quel buco nero che sembra collegare la volta celeste agli inferi? Gli interrogativi si espandono. Non sarà che la nostra allegoria vivente sta dicendoci qualcosa, del cielo stellato sopra di noi, che la scienza non ha ancora compreso? O, piuttosto, di quanto irresistibile sia l’impulso umano a leggere l’ignoto secondo categorie familiari, tanto da sovrapporre il Fiat Lux sul Big Bang, l’antica catabasi sugli universi paralleli e la stella marina su quella celeste? Per la cronaca, non di sola polvere di stelle siamo fatti, ma anche della sua messa in forma in un nostro antenato remoto che scelse proprio le sembianze di una stella marina, prima di fossilizzarsi. C’è davvero di che interrogarsi.
Jelly Starburst, 2016. Autore: Andrea Marshall
E c’è infine, a saperlo vedere, Dio Onnisciente in persona, o meglio una delle sue personificazioni più sottili e genuine. Con essa, un’immancabile visione “matrigna” della Natura, imputabile alla misoginia di uno sguardo ancora una volta monocolo. Avete indovinato dove alloca il Divino?
Questa foto abissale non è opera di un artista ma della biologa marina Andrea Marshall, che opportunamente ha intitolato il suo scatto “Jelly Starburst” (2016). In vendita on line per pochi euro, vale più di tante impressioni artistiche con corteo di zeri al seguito. Non ho altro da aggiungere se non che le assegno lo statuto speciale di “Icona per caso”. Magie del web e dell’arte contemporanea, bellezza.
Roberto Ago