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Dopo la performance, è il turno del video. Devo la scoperta di quest’opera audiovisiva senza alcuna pretesa di assurgere al rango di “fine art” alla collega di Artribune Valentina Tanni, attenta esploratrice della creatività popolare in relazione ai new media. Tanni sottolinea il notevole portato socio-antropologico di questo collage di scatti turistici tratti da Instagram, opera del videomaker Oliver Kmia, senza tuttavia avvertire l’esigenza di considerarlo arte quand’esso surclassa, e di parecchio, un’infinità di video con pretese di artisticità. Pur non riscattando il complesso dell’opera di Kmia, questo reperto del web è un autentico capolavoro della contemporaneità e come tale merita la nostra attenzione.
Occorre innanzitutto dire che non necessariamente esso veicola connotati negativi. Se è indubbio che un’omologazione dilagante emerge con insistenza fotogramma dopo fotogramma, evidenziando come le pragmatiche dei corpi risultino le medesime a livello mondiale, non necessariamente ciò costituisce il vestibolo dell’Apocalisse. Se a fronte di un popolo “bue” nessuno, se non lo snob, si è mai scandalizzato troppo, una stalla globalizzata non segna questa gran differenza. O sì? La grandezza di questo video, a un tempo celebrativo e distaccato quanto lo sguardo di un extraterrestre che osservi il carnevale umano dallo Spazio, sta tutta nel non prendere posizione, nell’evocare incubi foucaultiani attraverso quello che appare come un sogno planetario di condivisione. A seconda del temperamento del fruitore esso può colorarsi ora di profezie sinistre, ora di euforie collettive, e a giudicare dal contesto nel quale e per il quale il video ha visto la luce, sono queste ultime a prevalere.
Oliver Kmia, “Instravel – A Photogenic Mass Tourism Experience”, 2018
Senonché, legittimo è il sospetto che qualcosa di oscuro si celi dietro la superficie di tanta fotogenica uniformità, che Matrix non fosse un film di fantascienza ma scienza sotto mentite spoglie: quella di ciò che saremmo diventati. Siamo stati clonati col nostro non solo placido, ma addirittura entusiastico benestare e, se sì, da chi se non da quelle multinazionali che ci hanno impiantato il web nella mano? Quando scattiamo l’ennesima foto, dallo stesso identico punto, al medesimo panorama, è lo stesso che sorridere tutti secondo copione, o lo scarto tra pratiche condivise e omologazione coatta si va progressivamente restringendo? Che regole per un parco umano si vanno profilando quando ogni angolo del Pianeta è vissuto da tutti allo stesso modo? In questo video anche i luoghi, non solo le persone, sembrano ridursi a scenari pianificati a tavolino, a una Disneyland globalizzata. Se a fronte della Torre di Pisa mi comporto come all’isola di Pasqua significa che l’una vale l’altra. Se lo stesso luogo è ovunque allora è da nessuna parte: ci si sposta restando fermi. Eserciti di villeggianti si imbarcano ogni giorno per un Altrove che non è più tale, pregustando quel mare di foto che sacrificando l’esperienza diretta sono diventati il vero obiettivo e bottino di ogni viaggio.
Sono inquietudini note, se non fosse questo “selfie dell’umanità” le illustra in modo autentico, potente e inequivocabile. E allora si tratta di grande arte anche se nessun museo la degnerà di uno sguardo.
Roberto Ago