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È passata una settimana dalla morte del fotografo Mario Onofri e spetta a me ricordarlo. Troppo tempo, direte, per la fragranza dell’evento, troppo poco , dico io, per elaborare il lutto. Non si trovano facilmente le parole per ricordare un amico scomparso, per descrivere dove lui non è, senza cadere alla tristezza dell’encomio o cedere all’elenco burocratico del necrologio, c’è voluto un poco per uscire dallo sgomento della sua assenza e farlo nuovamente presente come se fosse ancora qui a raccontarmi dei suoi viaggi, a parlarmi del passato spiegandomi amorevolmente il futuro. Di Mario ho visto le prime foto, quelle degli anni Sessanta, scorci di una città di provincia dove era nato la cui realtà dura e arcigna era ritratta in modo erotico. Poi gli anni Settanta, gli scontri tra polizia e manifestanti, i concerti, c’è un’immagine di un giovanissimo capelluto Franco Battiato che suona il pianoforte indossando degli zoccoli.
Mario fu il fotografo della galleria L’Attico di Fabio Sargentini. Memorabili gli scatti delle 24 ore di Luigi Ontani, che per farli dovette passare sui tetti di Roma, e le foto delle mostre della mitica galleria. Con Sargentini ricordavano tempo fa quando fece da assistente a Jack Smith per il lavoro sulla “pinguina” in Capitalismo in Pastacrosta , il loro rocambolesco incontro e l’esperienza con le vere pecore protagoniste sul set dell’artista americano. Infine, “L’attico in viaggio” dove fa parte dello straordinario equipaggio del barcone di Fabio in una storica navigazione urbana sul Tevere.
Ecco, tutto questo mi raccontava Mario, mentre studiavo sui libri di storia dell’arte contemporanea lui me la raccontava dal libro della via, inserendoci sporadicamente aneddoti divertenti a tratti surreali, L’albergo Lunetta con il lavoro di Kounellis, la fidanzata cinese con la gamba ingessata che condivideva con Francesco Clemente, i viaggi per Roma, compressi nelle utilitarie con Ontani e Clemente, il fotografo Figurelli o il popolo della “sinistra psichedelica” tra via del Paradiso e la Chiesa Nuova, tra scimmie in galleria e il pianoforte di La Monte Young, insomma tutto quello che non si può certo apprendere dalla depurata storiografia ufficiale. Mario in viaggio ci andava spesso, spesso in India, sua patria elettiva, l’Oriente era la sua meta. A metà degli anni Novanta produsse My Friend of Bangkok un eccezionale reportage sui lady boys thailandesi alle prese con uno spettacolo di varietà, poi i Sadu ritratti più simili al Domenichino che a documenti di viaggio, e il Kashmir nelle pericolosissime zone di guerra, infine i meeting di danza a Goa. Si, l’occhio fotografico di Mario riusciva a carpire la grazia del mondo non solo quando innanzi all’obiettivo aveva una delle sue stupende modelle, ma anche quando scattava brani di vita, le feste, gli incontri. Persino quando, insieme, al museo della strage di Ustica a Bologna, produsse un ciclo di immagini impressionanti, fredde e, al tempo stesso, colme di pietà, di rispettoso silenzio.
Mario era questo e tanto altro. Era un sorriso bello e geniale davanti e dietro la macchina, chiave d’accesso a un mondo diverso, altro, forse migliore.
Mario Onofri è morto il 13 giugno in seguito all’aggravarsi di un tumore al cervello.