Categorie: lavagna

INDEPENDENTS

di - 10 Giugno 2019
Le figure ibride sono quelle che più ci interessano, dove le competenze si mescolano, i confini si si sfilacciano. Sono quelle più complesse e difficili da comprendere, vanno studiate ed analizzate ricercando i cammini intellettuali. Una di queste è Maurizio Viceré. Artista, curatore, curatore o artista, poco ci importa, è membro dal 2016 di ULTRASTUDIO, artist run-space con doppia sede a Pescara e Los Angeles. Nel 2018 sempre a Pescara apre The court, e come artista ha attualmente in corso una personale a Display, l’artist run-space di Parma ed una collettiva alla galleria The Flat – Massimo Carasi.
Il tuo è un cammino profondo e nel contempo delicato, paragonabile alla tua Preghiera, un’opera di grande poesia, quella che ci ha fatto incontrare e con la quale nel 2015 hai vinto il premio SetUp come miglior artista under 35. Che cosa è successo da allora, da quella polvere d’oro fino ad arrivare all’apertura di due spazi di ricerca…
«Preghiera è un lavoro che mi ha portato dei buoni risultati ma anche non pochi problemi. Alla fine, è stato acquisito e da una parte sono contento che abbia finito di ossessionarmi. Avevo avuto un blocco e successivamente a quell’opera ho ripensato molto al mio fare, e i lavori hanno iniziato ad acquisire la giusta distanza da me».
DER PROZESS Pierluigi Fabrizio and Francesca Longhini. Duo Show at THE COURT
Se dovessi scegliere una parola che unisca la tua pratica curatoriale e la tua opera è generosità.
«Dici? Non so sinceramente. Io ne faccio una questione molto semplice. Qualche volta ho un’idea e quando mi rendo conto di non essere in grado di realizzarla coinvolgo altri artisti che possano portarla avanti. Io credo che le opere valgano più degli artisti e gli artisti non penso ne siano poi più di tanto i legittimi proprietari. Le opere accadono, non so come spiegarlo. E quindi mi domando, se le opere sono un qualcosa a parte che trascende tutti allora che senso ha che siano mie, tue di altri…».
C’è un filo che unisce le tue opere alla tua pratica curatoriale? Se si quale ?
«Non direi. La mia ricerca è lontana sia dalle dinamiche di ULTRASTUDIO che di THE COURT. C’è però da dire che US è parte del mio carattere con quel fare così “grezzo” mentre THE COURT è un progetto in cui sono al centro alcuni dei miei romanzi preferiti. Quindi direi che sia US che TC sono costole della mia ricerca più in generale di uomo direi».
Identificami, se ce ne sono i punti in comune tra generare un’opera e creare-curare una mostra?
«Credo che una risposta valida a questo fraintendimento tra fare arte e curarla l’abbia data Boris Groys poiché un’artista prende “cose” e le trasforma in arte mentre un curatore, per quanto audace e salvo rare eccezioni, di norma prende già delle opere d’arte di altri per dar vita a qualcosa. Se prendiamo per buona questa definizione le somiglianze tra queste due figure diventano pressoché nulle. E poi c’è da dire questo, un’artista può muoversi come curatore e non è nemmeno una pratica poi così recente, è invece molto difficile che un curatore si metta a realizzare opere d’arte. Possiamo dire che esistono tre figure: l’artista, l’artista-curatore ed il curatore».
DISPLAY NIGHTWATCHERS Maurizio Vicerè solo show
The Court ha un concept che mi colpisce, puoi descrivercelo?
«L’idea alla base di TC è molto semplice. Ogni progetto è una visione più o meno impegnata, più o meno fedele, di un romanzo del XX, XXI secolo. Quando parlo con gli artisti che invito sono però solito dire di concentrarsi sul titolo in modo da lasciare la ricerca il più possibile libera ed aperta. Non avrebbe senso se si riducesse ad una semplice rilettura con altri mezzi».
Quali i romanzi trattati e come sono stati riletti dagli artisti?
«Ognuno credo abbia dato una sua interpretazione. Ogni romanzo è stato rielaborato in modo singolare. Per esempio, mi ha spiazzato il lavoro di Martin Lukac su Se una notte d’inverno un viaggiatore di Calvino. Mi aspettavo delle opere cupe vista l’atmosfera nebbiosa dell’opera ed invece Lukac ha presentato un ciclo di tele gialle… Ci ho messo un po’ a capire che si trattava di una ricerca sulla ripetitività ed il riprendere ogni volta il discorso da capo che è poi il senso di questo meta-romanzo. Attualmente è in corso la doppia mostra Der Prozess (Il Processo, F. Kafka) con Pierluigi Fabrizio e Francesca Longhini ed anche in questo caso si è pensato un allestimento particolare attraverso coppie di lavori in cui le pitture della Longhini dialogano con gli scatti di Fabrizio. L’idea è quella di creare dei rebus e complicare in un certo senso il percorso espositivo, mantenendo quella dimensione labirintica che è propria dello scrivere di Kafka».
ULTRASTUDIO Italia – USA, doppia sede, fondato e diretto con: Gioia Di Girolamo, Massimiliano Costantini (aka Ivan Divanto), Matteo Liberi. Che cosa avete alle porte?
«Per il momento ci siamo presi una lunga pausa. Dieci artisti, tre progetti curatoriali internazionali in tre anni iniziano a far sentire un certo peso. Stiamo riflettendo su possibili evoluzioni. La novità è che finalmente avremo uno spazio fisico a Los Angeles e molto probabilmente daremo inizio ad un ponte tra Europa ed USA. Stiamo inoltre allargando l’organico in vista dei progetti futuri e vorrei cogliere l’occasione per presentare anche Pierluigi Fabrizio e Giorgio Liddo che ci accompagneranno in questa avventura nei prossimi mesi».
Jack Fisher

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