Categorie: lavagna

INDEPENDENTS

di - 10 Novembre 2017
There is no place like home, progetto nato a Roma nel 2014 grazie a Giuliana Benassi, Alessandro Cicoria, Stanislao Di Giugno, Giuseppe Pietroniro, Marco Raparelli, Giulia Lopalco e Daniele Puppi, ha fissato il suo quinto appuntamento con artisti e pubblico a Torino, perché invitato ad aderire al circuito di NESXT-Indipendent Art Festival (26 ottobre/ 5 novembre).
Dopo il cantiere aperto in Via Aurelia Antica a Roma, la Polveriera sull’Isola delle Vignole a Venezia, lo spazio sottostante il ponte in Via Valle Aurelia e il barcone sul Lungo Tevere nella Capitale, questa volta l’azione si è svolta nel piano interrato di uno stabile nei pressi di Porta Palazzo, dove è in corso ormai da un paio di mesi l’esperienza del condominio-museo viadellafucina16, su iniziativa di Brice Coniglio (ConiglioViola) e del suo gruppo KaninchenHaus.
Uno spazio dunque complesso, articolato, estremo per alcuni versi, abitato nei piani superiori da un melting pot di culture differenti, dove Giuliana Benassi è intervenuta da regista chiamando a collaborare due artisti: Josè Angelino e Calixto Ramirez.
Si devono scendere delle scalette fatiscenti per accedere al luogo scelto per installare le opere, la cui  collocazione è frutto di un’operazione di riqualificazione di spazi prima di allora abbandonati. Varcata la soglia, c’è del vetro che vibra, la tensione cresce, si muove tutto, ma la struttura non si rompe finché la tensione non diminuisce ed il movimento si stempera in suoni più rassicuranti. Poi c’è un video proiettato là dove non te l’aspetti, devi abbassare lo sguardo per guardarlo: l’inquadratura è fissa e riprende il moto perpetuo di una bottiglia intrappolata in una scala mobile. Al centro, invece, come fossero resti di un sacello sgangherato, stanno una serie di bottiglie sulla cui bocca sono stati posizionati pezzi di mattoni, e ne definisce l’orientamento il perimetro tracciato da un patchwork di mattonelle, in graniglia probabilmente, dai colori sgargianti e i disegni differenti. Poco più in fondo, si vede una mano che batte un mattone su un muro ad un ritmo costante e c’è un uomo e poi una donna e poi tutti e due insieme, insieme ancora ad altre persone che arrivano e continuano a colpire, ma il muro non cade; è un video. Le prime due opere (Studi di interferenze e Senza Titolo) sono di Angelino, le altre (Zona di sicurezza e Scandagliare) di Ramirez: il loro dialogo crea un equilibrio tanto armonico quanto precario.

Calixto Ramirez, Scandagliare, video 2′ 40” loop, THERE IS NO PLACE LIKE HOME Torino 2017

La stanza dà su un giardino che, pulito ormai dalle erbe confuse, tramite un vialetto di pietra porta a un altro abitacolo, piccolo e angusto, dove Angelino ha installato due lavori che rischiarano il buio: sono linee di energia, colonne sottili di vetro al cui interno passa l’argon, un gas che l’artista è solito trattare come fosse un soffio vitale che entra dentro la struttura portante e ne definisce l’anima, incontrando – come nel nostro corpo – restringimenti e allargamenti, fratture e contiguità.
Ancora una volta There is no place like home (a cui è stata dedicata Marginalia #7) riesce ad entrare dentro il luogo, appropriandosi dei suoi rumori, dei suoi silenzi, dei suoi anfratti, delle sue bellezze e delle sue contraddizioni e, nel rispetto di ciò che è, rivela le combinazioni sottese tra le componenti materiali e immateriali che ivi risiedono. In questo caso specifico l’intervento ha giocato su aspetti specifici: la precarietà, simboleggiata da materiali di risulta come possono essere dei mattoni consunti o delle bottiglie vuote lasciate a giacere in qualche angolo, e le forme asciutte e puntuali (la linea, il cerchio) che riflettono lo scheletro di un’architettura fantasma. Funziona il dialogo tra le diverse parti e funziona ancora di più, quest’appuntamento tra arte e vita, nel momento della performance Breakfast by the light of the moon. Alle 18 di sabato, Ramirez vivifica le immagini del suo video: uomini e donne iniziano a battere sui muri nell’androne e sulla prima rampa di scale, mentre l’artista intanto sale con un sacco che puntualmente, una volta arrivato all’ultima rampa, butta giù producendo un gran tonfo; sembra che la casa si stia sgretolando. E i gesti si susseguono con in sottofondo la musica di Justin Randolph Thompson che diventa la vera direttrice di tutta la scena, ne orienta l’inizio, il ritmo, la fine. Così quando ormai tutto tace, e il dramma è ormai lontano, la struttura resta, le persone anche e l’equilibrio torna.
Serena Carbone

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