Categorie: lavagna

Independents | Bridge art |

di - 10 Aprile 2018
Roma, marzo 2018. È una fredda e grigia giornata. Incontro Lori Adragna al MAXXI per discutere di Border Crossing, il progetto proposto da Bridge Art in collaborazione con Dimora OZ e Casa Sponge, selezionato tra i progetti che prenderanno ufficialmente parte del programma degli Eventi Collaterali di Manifesta 12. È l’occasione giusta per conoscere meglio la sua residenza che co-dirige con Valeria Valenza a Noto. Focus, lo studio dell’ambiente, della natura. Bridge Art è un libero e costruttivo scambio di idee. Leggo nello speech che è quasi un manifesto politico, la trasformazione di siti sensibili in fucina del contemporaneo.
Partiamo proprio da qui, dalla frase “in quanto membri di una comunità e abitanti di un unico pianeta”. Come si attua questo processo, per sua natura di unione e condivisione? Qual è il ruolo dell’arte in scena come attrice protagonista?
«Credo fermamente nel potenziale sovversivo ed educativo dell’arte quale motore di cambiamento politico e sociale, che trova impulso nella ricerca di un’armonia tra uomo e natura, nella creatività come energia nuova, rigeneratrice di luoghi, arti, culture, mentalità, paesaggi. Quella del ponte è per me una immagine topica: gettare le basi per innescare connessione, relianza, per dirla con Morin, dare vita ad una piattaforma multiculturale, inclusiva e interdisciplinare. Tutte le discipline sono collegate e per comprendere le forze su cui si fonda l’arte contemporanea si devono confrontare, innescando un dialogo che poi si trasformi in fare, condividere, valutare e anche cambiare direzione, quando serve. In quest’ottica i nostri progetti patrocinati dal Comune di Noto, nascono in partenariato con il CUMO Università del Mediterraneo orientale e con l’Istituto Gestalt Italia; sono accolti negli spazi indipendenti ma anche in sedi Istituzionali (come il Maxxi, il MACRO, la Galleria Nazionale di Roma). Ogni residenza poi, attiva nuove sinergie. Nella fully_grounding residency appena conclusa, ad esempio, Stefania Migliorati, una delle due artiste residenti, si è avvalsa del supporto di Filadelfio Brogna, agronomo, Direttore della Riserva Naturale di Vendicari e di Renzo Ientile, ornitologo ricercatore del Cutgana di Catania, esplorando il concetto di sinantropia; mentre Jonida Xherri, ha coinvolto nei suoi laboratori 18 diverse comunità territoriali: dal gruppo dei Caminanti, alla Casa di Reclusione, dalla Cooperativa Shaqed a Casa Tobia con i migranti minori, dalle scuole agli operatori del Progetto “I Care”, intrecciando fili di lana e relazioni con oltre 400 persone. Il fine? mettere in comunicazione realtà straniere e italiane, fare comunità come nel caso Border Crossing, il progetto selezionato da Manifesta12 che hai citato in apertura: anch’esso nasce da questa dimensione corale (Bridge Art, Casa Sponge, Dimora Oz) e si sviluppa in collaborazione con diverse realtà attive nel campo dell’arte contemporanea, dove lo spirito della comunità e un tutt’uno con quello della ricerca (A Cielo Aperto, Atla(s)now, Dolomiti Contemporanee, Liminaria, Nosadella.due, Ramdom, RAVE East Village Artist Residency, Site Specific, Spazio Y, Tenuta Dello Scompiglio), in una sorta di viaggio attraverso l’Italia per approdare a Palermo, città complessa in fase di rinascita, dove le tappe raccontano la criticità dei luoghi e la risoluzione dei problemi applicata dagli operatori culturali, dagli artisti e dalle comunità creative».
Fabrizio Cicero, Casa nostra
Come riuscite con l’arte a favorire processi di integrazione culturale?
«C’è una visione all’origine di Bridge, partorita nel 2013 a New York per la UNIS (Unione Scuole Internazionali delle Nazioni Unite) con un programma di ospitalità in supporto ai giovani Expat di lingua italiana e etnie diverse. Alla base, l’analisi del vuoto relazionale e dello sradicamento sociale, affettivo e identitario, che colpiscono le persone espatriate quando si approcciano a civiltà diverse. Attraverso la convivenza e la realizzazione di un lavoro comune si offriva loro la possibilità di formarsi al cambiamento, di narrare e narrarsi le reciproche differenze superando pregiudizi e paure. Dalla stessa idea scaturisce il format di residenze d’arte a Noto, che si svolgono a cadenza annuale e sono dedicate agli artisti vincitori della call internazionale lanciata nei mesi estivi. Hanno preso il via nel 2015, ospitando finora artisti di svariata provenienza (Albania, Armenia, Bulgaria, Cile, Iran, Italia, Siria), così come i curatori dei progetti di residenza, tra questi: Antonio Arévalo (Cile) e Helia Hamedani (Iran). Gli artisti condividono un’esperienza creativa all’insegna del rispetto delle diverse culture, della natura, della biodiversità, respirando le suggestioni del luogo e innescando un percorso che apra e si apra a nuove riflessioni, al continuo e proficuo rinnovamento di idee che sia insieme occasione di crescita e sviluppo umano, artistico ed economico».
Francesco Bartoli, In Search for nothing laboratorio con i migranti minori
Agite in un luogo patrimonio dell’Unesco, strategico e nel contempo complesso…
«Il cuore di Bridge Art è Tenuta La Favola azienda vitivinicola a impatto zero all’avanguardia in tecniche di produzione biologica, che sorge nei pressi di Noto, in cima ad una collina tra ettari di vigna. All’orizzonte, il mar Mediterraneo si tuffa nello Ionio, mentre alle spalle s’innalza il pennacchio di fumo dall’Etna. È un luogo simbolico dalla natura potente, crogiolo di storia, tradizioni, arte, patrimonio dell’uomo e dal 2002 Patrimonio dell’Umanità UNESCO. Si trova nel lembo più meridionale d’Europa tra due continenti, da secoli terra di conquista che conserva sotto ogni passo resti di civiltà scomparse e dove specie botaniche e animali si mescolano generando forme di vita uniche. Ma accanto agli splendori sia paesaggistici che architettonici, a tratti emergono le brutture: scheletri di costruzioni incompiute o abbandonate, frutto di abusi edilizi, e, l’emergenza immigrati con i continui sbarchi non conosce sosta. Ma è proprio nella sua complessità e problematicità che il Sud-est siciliano può farsi “confine di contatto” fisico e metafisico, occasione per proporre nuove strategie adattative, dove l’assunzione della responsabilità di ogni individuo nel creare il suo progetto di vita nel mondo, diviene prassi necessaria».
Michele Tiberio, Legare gli alberi
Che significato ha oggi praticare l’arte con la consapevolezza di avere alle spalle (lo abbiamo di fronte) il Mediterraneo?
«Come scriveva Predrag Matvejević: “Il Mediterraneo non è solo geografia”. Dentro le sue sponde e nelle terre che bagna ha avuto origine la storia dell’umanità. Dalle sue acque sono sgorgate civiltà e colati a picco imperi. In quel mare, che i romani chiamarono “nostrum”, avviando tutta una mitologia, convergono tre mondi (cristiano, islamico ed ebraico) e tre diversi sistemi politico-economici. È d’altra parte teatro di conflitti, problemi di regolazione dei commerci e dei flussi umani, di integralismi, non solo religiosi. Partendo e ripartendo dall’arte e dalla cultura come patrimonio condiviso, si può avviare un cambiamento, immaginare un Mediterraneo che torni ad essere crocevia di scambi e di percorsi di sviluppo. E qui l’arte contemporanea può giocare un ruolo di primo piano: rimescolando le acque, riflettendo e facendo riflettere, valorizzando le differenze, pre-figurando lo spazio di un mare senza confini. È un messaggio di grande respiro in un’epoca in cui le divisioni sembrano sopraffarci in nome di una malintesa idea di identità, che dovrebbe avvicinare, ma anche accogliere, e finisce invece col foraggiare la paura e l’esclusione dell’Altro. Noi di Bridge Art ci sentiamo profondamente coinvolti, per questo abbiamo proposto al Comune di Palermo -aprendoci anche alla partecipazione di realtà d’oltre mare-, di gemellare Border Crossing con la prossima edizione della Biennale del Mediterraneo che si svolgerà nel 2019».
Jack Fischer

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