Categorie: lavagna

La lavagna | Alla ricerca della tenerezza emergente

di - 10 Gennaio 2014
Pochi auguri dal 2013. Mi viene in mente Miracolo a Milano (Vittorio De Sica, 1951), quel volo sopra la Madonnina, quella figura carismatica dell’utopia e del risarcimento dell’immaginazione. La storia è nota: il piccolo Totò, uscito dall’orfanotrofio dove ha trascorso l’infanzia, immagina un “mondo buono” (la pubblicità rende impronunciabili queste parole, tanto quanto “fate i buoni” del panettone Balocco, ma essendo a Milano….). Totò non si lascia impressionare dagli ostacoli e trova tra i senza tetto la collaborazione per progettare la sua utopia di un nuovo mondo. Alla fine, però, ai poveracci non resta che fuggire nell’immaginazione, rubare le scope agli spazzini di Piazza Duomo e alzarsi in volo, come elfi o streghe alla ricerca della libertà che, ahimé, vive solo sopra la città.
Allora molti criticarono il tono fiabesco o all’opposto l’eccesso di attenzione ai poveri. E oggi?  Da tutti i notiziari sappiamo che i poveri, dopo quel “folle volo”, non hanno trovato la dantesca “virtute  e conoscenza”, sono tornati a terra, qui, tra noi. De Sica non c’è più: non possiamo sperare in un sequel, che ci rincuori di nuovo. Del resto quel volo ha perso la carica utopica e contraddittoria, a favore di una specie di logo dell’operosità meneghina. Rimane, tuttavia, la forza dell’immaginazione ed è questa che vorrei seguire per guardare il cielo sopra Milano.

A fine novembre Matteo Bergamini ha già raccontato per Exibart quello che “eppur si muove” (o si è appena mosso) in città: Kounellis, Serra, Jana Sterbak, il Pecci, Serena Vestrucci… (Exibart, 29 Novembre). All’inizio di Dicembre Marco De Michelis, sul Corriere della Sera, ha puntato il dito sul ritardo del sistema milanese dei musei rispetto a quanto avviene in tutto il mondo. Un grido d’allarme, che ha una lunga storia dietro di sè. L’ Italia, nonostante il più alto patrimonio artistico esistente, non ha mai costruito una politica culturale per l’arte e neppure per altre espressioni. Il Ministero dei Beni Culturali conta poco nell’equilibrio dei governi, tanto che alcuni Istituti Italiani di Cultura verranno cancellati nei prossimi mesi. Di conseguenza anche l’arte contemporanea soffre di quest’allenata disattenzione. Pare, come scrive De Michelis, che la compensazione all’effettiva povertà di mezzi si risolva «nell’esternalizzare la produzione di mostre, una tendenza di giorno in giorno più visibile».

La collaborazione è auspicabile, ma non può corrispondere alla consegna del programma a società private che spesso propongono  titoli civetta, più che effettive ricerche scientifiche. Certo, se i nomi sono importanti, i visitatori rispondono e giustamente ritengono che le mostre siano l’esito di una ricerca critica, mentre il più delle volte riguardano la facilità di reperire opere. Pazienza, se di quell’autore, ce ne sono poche veramente seminali. Il ritornello della scarsezza dei mezzi diventa la risposta chiave di fronte alle pur tenui critiche. Così si crea l’inganno di un successo decretato dalle code dei visitatori, non compensati da una qualità effettiva. Quanto più gli artisti sono prestigiosi, tanto più l’inganno è efficace. Nel giugno scorso Milena Gabanelli ha dedicato una puntata di “Report” a questo tema, e ha messo in luce il progressivo esautoramento dei luoghi della cultura storico-artistica italiana, a favore di società di organizzazione di mostre, che in cambio della produzione ottengono la maggioranza dei ricavi di biglietti, book shop e quant’altro.
Un museo come Gli Uffizi è affittato per 15mila euro per realizzare lì cocktail o cene private (ancora notizie documentate da Report nello scorso novembre).  In Francia o negli Usa, promozioni di questo tipo valgono varie centinaia di migliaia di euro. E allora?
Allora guardiamo cosa succede in situazioni non ufficiali, perchè, nonostante la minoranza effettiva del sistema italiano, la cultura esiste. È arrivato il momento di tornare “nelle cantine”, ovvero a situazioni non assimilabili al sistema, anche se non sono tradizionali ribellioni. Credo che l’arte possa spiccare il volo nei cieli del mondo, quando tiene i piedi per terra e da qui intuisce il cambiamento e una critica all’esistente.
Non c’ è un miracolo a Milano, ma la ricerca continua, anche se il sistema non sembra occuparsene .

Il 20 Novembre per la conclusione della mostra di Luca Vitone, alla Galleria Milano, c’è stato un concerto di Elio Marchesini con Sara Colagreco, Lorenzo D’ Erasmo, Andrea Dulbecco. Una piccola magia che ci ha fatto riandare agli anni ’70, alle sperimentazioni di John Cage, Living Room Music, di Steve Reich, Music For Pieces of Wood, di Ernst Boch Geographical Fugue. La musica prende corpo da spartiti per i “claves” (piccoli oggetti di legno di provenienza australiana), per tavoli, sedie, per giornali piegati e appoggiati sul ginocchio che “suonano” al tocco delle mani, per un rap di parole che ci fa fare il giro del mondo (Ernst Boch, Geographical Fugue,1930). Copio dallo spartito: «Na – ga –sa -ki / Ti – bet / Yo – ko – ha—ma / Ca – na – da / Ri – mi – ni / Brin – di – si / Ho – no – lu —lu / Mis – sis – sip—pi / Ti – ti –  ca—- ca…». E così via in un rap elettrico, che corre attraverso luoghi simbolici come Nagasaki, che ancora non aveva patito la bomba, ma anche altri che si accoppiano per le loro sonorità. Non sappiamo se Boch conosceva Rimini e Brindisi, ma una volta musicati diventano note di un canto che parla di una geografia emotiva,  possibile.
Gli oggetti quotidiani trattengono ricordi, emozioni, armonie: ciò che siamo e produciamo è fonte di suoni e parole che hanno dentro di sé la musica.
Una sensazione analoga si prova all’Hangar Bicocca, dove la mostra di Dieter Roth è la vita in sè, mentre Kjartansson, con la sua video installazione e il successivo concerto di canzoni country, accoglie tutti con una tenerezza che oggi diventa quasi utopica.  Di fronte a ribellioni sempre più disperate e che stentano a coagularsi in programmi condivisi, mi sembra che mettere in scena la tenerezza sia una svolta.

L’urto della crisi si avvita in competizioni, quasi sempre nascoste da un velo di accettabile consenso. Si è persa la disponibilità a lasciarci travolgere da sentimenti essenziali. Le sculture di cioccolata di Dieter Roth con il loro profumo ce lo ricordano, e poi ci fanno anche ragionare sulla materia dell’arte, su quella della vita, sulle forme. Un’emozione e un’ energia e che insieme al concerto di Kjartansson ha aumentato i visitatori, il loro numero non diventa però un aggettivo di qualità, ma la testimonianza di un libero scambio culturale.
Quando penso alla tenerezza, intendo un sentimento forte che fa da cerniera allo sviluppo di famiglie relazionali e non solo parentali. L’arte è un collante formidabile per sperimentare un’affettività circolare, perchè non siamo mai da soli gli uni davanti agli altri, c’è sempre tra noi un soggetto che ha una propria vita, che cresce nel dialogo con chi guarda. Ogni opera, da qualunque epoca provenga, chiede e offre questo. Alla Gamec di Bergamo, alla mostra di Luciano Fabro, lo vediamo in presa diretta. Molti dei disegni esposti sono dedicati ad amici, collezionisti, parenti, curatori. Non li aveva mai presentati pubblicamente, ma era un’idea a cui stava lavorando. Appare la relazione tra opera e spettatore in cui, come diceva lo stesso Fabro, «la figura ti giudica». In quel momento diventa soggetto attivo e in quanto tale propone un giudizio e, a sua volta, lo riceve. Ma proprio Fabro, con le sue fulminee dediche, ironiche, affettive, puntuali avverte  che – per vivere l’utopia dell’arte, accettare i suoi giudizi ed esprimere i nostri –  c’è una tenerezza da mettere in campo. Cos’altro sono i doni dei suoi disegni? In questa mostra, preceduta da quella al Kunst Museum di Winterthur, abbiamo capito quanto era sostanziale la tenerezza per capire e capirci attraverso le sue figure. E non è un caso che, in questi momenti di sogni difficili e di difficoltà generali, l’arte ponga l’accento sulle relazioni personali.

È successo anche il 4 Dicembre con un invito particolare  in una casa privata, realizzato da Traslochi Emotivi. Sotto questo titolo, c’è una giovane artista italiana e il suo progetto a più voci. “Parodi/a in Vita”è un gioco di parole che unisce i nomi dei padroni di casa e tutti coloro che hanno partecipato. Traslochi Emotivi lavora sulle relazioni che instaura direttamente con “committenti” e compagni di strada. Quella casa, nella milanese via Bramante, per una sera è stata “espropriata”  e modificata con proiezioni, un concerto di una pianista, un monitor con la famosa partita Italia – Germania del 1970, (simbolo della doppia nazionalità della famiglia ospitante), un tavolo da ping- pong, un espositore di cartoline, un angolo pieno di libri, di foto, di frammenti che sono la materia viva nella quale Traslochi Emotivi trasferisce le sue figure. Un poeta leggeva, ad un ospite per volta, una poesia e gliela regalava. In una stanza si ballava, mentre dalla cucina uscivano piatti che univano cibi mediterranei e tedeschi (wurstel, patate, orecchiette, mozzarella di bufala…). Da una stanza all’altra Traslochi Emotivi e i suoi compagni di strada agivano come attenti e vivaci “padroni di casa”, invitandoci a guardare e a fare amicizia.
La reazione è stata molto interessante: c’era da un lato il normale comportamento di un invito a cena, dall’altro una curiosità dubbiosa. È una mostra? Posso comprare le cartoline e altro? Sì, succedeva anche questo. E cosa significano tutti questi fogli di carta che coprono i pavimenti? Sono un filtro che impaccia il cammino, un segno che quella è una casa provvisoria, un ipotetico decoro per un pavimento, ma anche dei fogli per trattenere la memoria di questa sera inusuale. Molti si conoscevano, altri no. Normale. L’arte nasce da un magma quotidiano in cui sono compresi anche gli estranei? Può darsi. Ma soprattutto l’idea di questa “parodia in vita” offriva spunti per una figura di una momentanea famiglia relazionale.

Anche Simone Menegoi ha realizzato una mostra nella sua casa in quei giorni. Il desiderio di trasportare in spazi personali le mostre da parte di artisti e curatori, può essere un tratto di resistenza al declino e contemporaneamente il suggerimento a uscire dai sistemi, qualunque essi siano, e a dotarsi di pazienza, tenerezza, intimità per guardare la città e chi la abita.
Un suggerimento viene anche dalla mostra di Kiefer alla galleria Lia Rumma di Napoli. Nei bellissimi quadri, paesaggi e campi di fiori si sostituiscono alle sue storiche figure del dramma che ha segnato il secolo scorso. Mentre le pagine dei suoi classici libri di piombo acquistano trasparenza attraverso la modificazione alchemica dei colori, e si alternano nelle vetrine a bellissimi disegni, affettuosamente erotici.
Servono parole per ricostruire case, figure, sentimenti forti e deboli. Il sistema non ha proposte. Approfittiamone e, come la befana appena passata e ottimista, prendiamo un manico di scopa e voliamo sopra le città alla ricerca delle luci della tenerezza emergente. Non è una soluzione pacifica, ma un’esperienza necessaria per limitare la furiosa disparità che contrappone ricchi e poveri, residenti e immigrati, successi professionali e disoccupati e, “last but not least”, amori fortunati e femminicidi. L’ottimismo della ragione o dell’immaginazione, come proponeva De Sica in Miracolo a Milano, non ha strumenti. L’ottimismo della tenerezza è un’utopia?

Visualizza commenti

  • grazie del bellissimo testo, della intelligente rassegna di "cose fatte e da fare" e dell'apertura al futuro di Milano/mondo

  • grazie Francesca un testo che vola alto e aiuta a individuare i germogli di bellezza tra noi piccoli abitatori al suolo

  • non si fa cenno all'expo e alle sue manovre...la citta è disseminata di loghi e pseudo sculture oscene. che richiamano Arcimboldo.. esistono due o piu milano.. una del Miracolo..una da bere.. e una che vede tutti i giorni un luogo senza senso!
    resta il fatto che è una tra le piu care d'europa e centinaia di creativi e giovani studenti non riescono piu a viverci.

  • Concordo sull'oscenità delle pseudo sculture "da baraccone" per expo, davvero oscene, offendono il senso estetico della città capitale del design. Chissà il grande Munari, che di tenerezza e leggerezza se ne intendeva, cosa avrebbe da dire.

Articoli recenti

  • Mostre

“La Caduta degli angeli ribelli. Francesco Bertos” in mostra a Vicenza

Alle Gallerie d'Italia di Vicenza, in mostra la scultura del Settecento di Francesco Bertos in dialogo con il capolavoro "Caduta…

23 Dicembre 2024 0:02
  • Architettura

«L’umano al centro dell’architettura». La prossima edizione della Biennale di Seoul raccontata dal suo direttore

La capitale coreana si prepara alla quinta edizione della Seoul Biennale of Architecture and Urbanism. In che modo questa manifestazione…

22 Dicembre 2024 19:15
  • Libri ed editoria

Quel che piace a me. Francesca Alinovi raccontata da Giulia Cavaliere in un nuovo libro

Giulia Cavaliere ricostruisce la storia di Francesca Alinovi attraverso un breve viaggio che parte e finisce nella sua abitazione bolognese,…

22 Dicembre 2024 17:00
  • Cinema

Napoli-New York: il sogno americano secondo Gabriele Salvatores

Due "scugnizzi" si imbarcano per l'America per sfuggire alla povertà. La recensione del nuovo (e particolarmente riuscito) film di Salvatores,…

22 Dicembre 2024 9:00
  • Arte contemporanea

Sguardi privati su una collezione di bellezza: intervista a Francesco Galvagno

Il collezionista Francesco Galvagno ci racconta come nasce e si sviluppa una raccolta d’arte, a margine di un’ampia mostra di…

22 Dicembre 2024 8:20
  • Mostre

Dicembre veneziano: quattro mostre per immergersi nel dialogo culturale della laguna

La Galleria Alberta Pane, 193 Gallery, Spazio Penini e Galleria 10 & zero uno sono quattro delle voci che animano…

22 Dicembre 2024 0:02